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Fin dal 2005 la Lapet aveva già introdotto nel proprio Ccnl forme di lavoro condiviso e flessibile.
Premessa - Risale al 27 settembre scorso, come è stato comunicato anche da queste pagine, la stipula dell’accordo tra le associazioni sindacali Filcams, Cgil, Fisacat, Cisl, e Uil e la Confprofessioni in base al quale sono state tracciate le linee guida in merito al rinnovo dei Ccnl; tra le direttive è stata posta in evidenza l’eventualità di introdurre la modalità di rapporto lavorativo in sharing estendendola anche ai professionisti non iscritti all’Albo. Ma si è trattato davvero di una proposta originale e condivisa? E, parimenti, l’intenzione di riclassificare gli Ordini e le forme di catalogazione delle professioni imposta alle diverse categorie è davvero una scelta innovativa volta alla crescita di questo settore? A tali quesiti, inevitabilmente sorti in seguito all’accordo firmato dalle associazioni e la Confederazione, avanza le sue risposte il presidente della Laper, Roberto Falcone.
Il Ccnl e la classificazione professionale - In merito alle direttive circa la revisione dei Ccnl in ambito professionale, il presidente della Lapet non si ritiene sulla stessa linea d’onda dei firmatari dell’accordo. In breve, ciò a cui si è approdato il 27 settembre prevede che nel rinnovare i contratti si possa anche allargare gli orizzonti attuativi della proposta di job sharing; in base a quanto stabilito dalle parti sociali e Confprofessioni, sarà vagliata la possibilità di applicare il contratto di lavoro condiviso anche ad apprendisti, praticanti e stagisti ai quali, però, dovrà esser garantita una retribuzione equa in confronto alla lavoro svolto. A ciò, i firmatari del patto hanno aggiunto un nuovo criterio di classificazione di quelle professioni non aderenti all’ordine che, nonostante non siano soggette al Ccnl ne potranno adottare le direttive. Su questo punto si inserisce la riflessione del presidente dell’associazione dei tributaristi, Roberto Falcone, il quale non ritiene opportuno che categorie professionali che hanno fatto della loro autonomia rispetto agli ordini un vero e proprio profilo riconoscitivo, debbano sottostare a decisioni a loro estranee ed esterne. L’auspicio promosso dalle associazioni sindacali e dalla Confprofessioni sembrerebbe non tener conto del diritto costituzionale delle professioni non ordinistiche di gestire in maniera indipendente e libera la propria struttura contrattuale. “Siamo convinti sostenitori delle libere scelte – sostiene il leader della
Lapet – così come previste dalla Costituzione. Abbiamo valutato autonomamente la stesura di un contratto che prevede già da tempo tutte queste ‘nuove discipline’”. A ben vedere, fin dal 2005 la libera associazione dei tributaristi italiani ha portato avanti piani di rinnovo dei rapporti lavorativi, inserendo tra gli altri anche le modalità d’ingaggio quali il flex time e lo job sharing. “Alla luce di quanto detto - continua Roberto Falcone – non possiamo assolutamente permettere di farci né catalogare, né ghettizzare. Siamo un’associazione di categoria e il nostro riconoscimento non può dunque avvenire da altre realtà a noi similari”.
Job sharing – Letteralmente si tratta di lavoro condiviso che, in base all’accordo tra Confprofessioni e associazioni sindacali, dovrebbe entrare nei nuovi contratti collettivi anche per quel che concerne le professioni non aderenti ad alcun Ordine. Ma il focus della questione messa in evidenza dal presidente della Lapet, Roberto Falcone, è che in effetti le associazione slegate dalle strutture ordinistiche, come la sua, già applicano il suddetto criterio di rapporto lavorativo. “Nel nostro contratto collettivo nazionale, di cui possono usufruire, in via esclusiva, tutti i dipendenti degli studi professionali non ordinistici, sin dal 2005 avevamo previsto forme di lavoro intermittente e lavoro ripartito (job sharing)”, spiega il presidente Falcone. Inoltre, il Ccnl al quale il presidente della Lapet si riferisce, nonostante sia stato rinnovato nel 2009, non ha apportato sostanziali modifiche per quel che concerne gli ambiti dedicati al lavoro condiviso. “Il nostro – continua il leader dei liberi tributaristi – è un Ccnl che ha recepito tutti gli strumenti, spesso inattuati, di flessibilità previsti dalla coì detta ‘legge Biagi’ per poter rispondere alle più disparate esigenze aziendali e del lavoratore, non solo lavoro intermittente e job sharing dunque, ma anche telelavoro, apprendistato e l’introduzione del flex time”. Il contratto menzionato dal presidente Falcone dà piena facoltà di modificare le prestazioni lavorative dei dipendenti al datore di lavoro, a patto comunque che le variazioni siano applicate entro fasce orarie prestabilite e condivise dai lavoratori.