“Per me sono tutti celibi/nubili. Non lavoro mica per l’Anagrafe Tributaria”. È questa l’ipotesi delle ultime ore che parecchi Consulenti del Lavoro e gli altri operatori del settore - alle prese con la compilazione della Certificazione Unica - stanno valutando per aggirare la novità dell’obbligo di “indicare il codice fiscale del coniuge anche se non a carico”. Una novità, questa, che sta mettendo in serie difficoltà i sostituti d’imposta e intermediari non soltanto per la mera attività di “recupero informazioni”, che a parere di chi scrive non compete di certo al sostituto d’imposta – ma anche per una serie di casi collegati al dato in trattazione.
Si pensi ad esempio al caso in cui il contribuente per dimenticanza o volontariamente non fornisca il dato, ovvero alla fattispecie di coniuge legalmente separato o divorziato. Come bisogna comportarsi in tali casi?
Non c’è dunque da meravigliarsi se l’Amministrazione Finanziaria poi si ritroverà con un incremento di CU carente del CF del coniuge, in quanto si è indicato di essere celibe/nubile per evitare di mandare e-mail o telefonare al contribuente per reperire il dato.
Ma quali sono le conseguenze in caso di omissione del dato? Si applica la sanzione di 100 euro per mancanza del CF del coniuge? Perché è questo in fin dei conti quello che interessa ai sostituti d’imposta.
Ebbene, le istruzioni alla compilazione della CU non usano mezzi termini: “Da quest’anno è richiesta l’indicazione del codice fiscale del coniuge, anche se non a carico”. Tuttavia, il giorno stesso dell’emanazione del Provvedimento n. 7786 del 15 gennaio 2016 dell’Agenzia delle Entrate – che ha fornito le istruzioni per la compilazione della Certificazione Unica 2016 - è stato emanato il Comunicato stampa correlato in cui si afferma che
“i sostituti d’imposta potranno inserire nelle CU il codice fiscale del coniuge comunicato dai propri dipendenti anche se non fiscalmente a carico”. Ciò fa presagire che l’omissione del dato non è poi così grave da far scattare la sanzione di 100 euro, anche perché sembra che l’Agenzia delle Entrate non ha inserito alcun errore bloccante. Se così non fosse, l’A.F. avrebbe dovuto quanto meno chiedere maggiori informazioni circa lo stato civile del soggetto; inoltre, richiamando l’art. 10 dello Statuto del contribuente
“Non sono irrogate sanzioni ne' richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa”.
Si tratta, dunque, di una serie di accorgimenti che – a parere di chi scrive – non fanno pronosticare le tanto temute sanzioni che – da quest’anno – risultano novellate dall’art. 21 del D.Lgs. n. 158/2015. L’articolato, infatti, ha introdotto nell’ambito dell'art. 4 comma 6-quinquies del DPR 322/1998, nuovi limiti alle soglie sanzionatorie in materia di Certificazione Unica. In particolare, le novità sono due:
- è stato previsto un limite massimo di sanzione fissato a 50.000 euro per sostituto d'imposta per ogni certificazione omessa, tardiva o errata, oltre alla previsione sanzionatoria minima di 100 euro in deroga a quanto previsto dall'art.12 D.Lgs. n. 472/1997;
- è stato disposto che se la certificazione viene inviata entro 60 giorni dal 7 marzo di ogni anno, la sanzione è ridotta ad un terzo (33,33 euro) con un massimo di 20.000 euro.
In ogni caso, non vengono applicate sanzioni se, in presenza di una errata trasmissione, si provvede all’invio della corretta certificazione
entro i cinque giorni successivi alla scadenza del 7 marzo, ossia entro il 12 marzo 2016.