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Premessa – Il collocamento obbligatorio di lavoratori disabili deve essere garantito da tutti i tipi di imprese fino a 14 dipendenti. Infatti, sul tema l’Italia non ha recepito in maniera corretta la direttiva 200/78/Ce, con la conseguenza di essere giudicata colpevole per non aver imposto a tutti i datori di lavoro l'obbligo di prendere misure a favore di tutti i disabili. A renderlo noto è la Corte Ue nella sentenza (causa C-312) che affronta il tema della nozione di handicap e di “soluzioni ragionevoli” nell’ambito delle discriminazioni per disabilità.
Aspetti incriminati – La normativa incriminata è la Legge n. 68/1999, la quale si applica: solo ad alcune tipologie di disabili ivi identificate, solo a talune categorie di imprese e, infine non indica “soluzioni ragionevoli” a favore dei disabili in relazione a tutti i deversi aspetti del rapporto di lavoro. Inoltre, la Commissione accusa il sistema italiano di basarsi troppo sugli incentivi, agevolazioni e iniziative a carico dello Stato senza però imporre obblighi in capo ai datori di lavoro per assumere tali categorie svantaggiate.
La sentenza - La CorteUE sulla prima censura evidenzia che, anche se è vero che la nozione di “handicap” non è definita dalla direttiva, tuttavia la nozione va “intesa nel senso che si riferisce a una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona (handicap, ndr) alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori”. Tale nozione si trova in forte contrasto con quanto previsto dalla normativa italiana che, invece, limita il diritto a “taluni” disabili (per esempio la L. n. 104/1992 cita disabili affetti da “grave disabilità”). Sul secondo punto si mette in evidenza il fatto che l’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE riguarda “tutti i datori di lavoro” e che l'obbligo previsto a loro carico non può essere sostituito da misure pubbliche di incentivo. Infine, sul terzo punto viene imposto ai datori di lavoro l’obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli” a favore dei disabili in relazione a tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro. Da notare che per “soluzioni ragionevoli” s’intende “il datore di lavoro che prende provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili”. In altre parole il concetto di “soluzione ragionevole” deve essere inteso come riferito all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva partecipazione delle persone disabili alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.