31 dicembre 2013

File sharing. No al licenziamento

Scaricare musica e film dal pc aziendale non basta per licenziare il dipendente. Bisogna dimostrare di aver subito un danno

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – Non può essere licenziato il dipendente che scarica gratuitamente programmi direttamente dal pc d'ufficio anche se l'azienda non aveva autorizzato l'installazione. Neppure se il lavoratore nega, malgrado l’evidenza, di aver messo nel pc aziendale il software in condivisione. A stabilirlo è la Corte di cassazione con la sentenza 26379/2013, precisando che la violazione della Policy aziendale non fa scattare il licenziamento a meno che la società non dimostri di aver subito un danno causa del comportamento.

La vicenda – La vicenda riguarda un dipendente della Bristol Myers Squibb di Roma, licenziato per aver installato “eMule” (programma per scaricare gratis musica e film), software non autorizzato dall'azienda e di averlo utilizzato in violazione della “policy aziendale” e del “codice di comportamento”. A detta del datore di lavoro, questo comportamento "metteva a rischio la riservatezza dell'azienda stessa", e che il licenziamento era reso necessario per il venir meno del vincolo di fiducia che si era spezzato, non tanto per l’utilizzo arbitrario del programma quanto perché il lavoratore aveva negato l’evidenza. A ciò si aggiungeva l’accusa di aver messo a rischio la riservatezza dei dati sul pc consentendo l’accesso a estranei. Tuttavia, dalla perizia è emerso che dall’indebita utilizzazione del programma non sono derivate delle conseguenze per il datore di lavoro. Infatti, in 15 anni di servizio il dipendente non aveva avuto alcun provvedimento disciplinare. Nel caso di specie, inoltre, dalle disposizioni imposte della Policy non è ravvisabile l’allontanamento definitivo dal posto di lavoro, poiché si fa riferimento solo ad una possibilità di licenziamento nel caso in cui all’infrazione contestata si aggiungessero altri elementi di colpa, o l’azienda potesse dimostrare di aver subito danni direttamente collegabili all’illecito commesso. Di conseguenza, il dipendente era stato reintegrato nell'azienda nel dicembre 2006. Contro la reintegra, la società ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo che l'installazione del programma sul pc aziendale era tale da "ledere l'elemento fiduciario in modo irreversibile".

La sentenza – I giudici della Corte Suprema danno ragione al lavoratore e confermano quanto affermato dal giudice d’Appello. Infatti, è stata bocciata la linea difensiva scelta dall’azienda ritenendo che l’operato del dipendente non è così grave da giustificare l’adozione della sanzione espulsiva. Al riguardo è bene ricordare anche la sentenza n. 4375/2010, con la quale è stata dichiarata l’impossibilità di limitare o spiare la navigazione su internet di un dipendente, a patto che questo non ne abusi compromettendo l’efficienza lavorativa. Diverso è il caso in cui invece, un lavoratore piuttosto che svolgere il proprio compito si dedicava ai giochi di rete, provocando così un danno economico e di immagine all’azienda (sentenza n. 25069, Corte di Cassazione).
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