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Premessa – É stato finalmente sfatato il tabù sulla disciplina dei licenziamenti. Infatti, dopo oltre 40 anni, con l’approvazione in via definitiva della riforma del lavoro, l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970) cambia volto. In particolare, ad essere modificata è la reintegrazione dei licenziamenti illegittimi per motivi economici, che d’ora in avanti non sarà più automatica, ma potrà essere concessa (al posto del riconoscimento di un’indennità risarcitoria compresa tra le 12 e le 24 mensilità) esclusivamente nelle ipotesi in cui il giudice accerti la “manifesta insussistenza” del fatto posto alla base dell’atto di recesso. Sul fronte dei licenziamenti disciplinari invece, è stata attenuata la discrezionalità del giudice nel stabilire il reintegro del lavoratore. Mentre resta sempre nullo il licenziamento discriminatorio. Da precisare, inoltre, che prima di procedere al licenziamento per motivi economici bisogna intraprendere, obbligatoriamente, il tentativo di conciliazione che non può più essere invalidato da una finta malattia del lavoratore. Uniche eccezioni ammesse: maternità o infortunio sul lavoro. Sono queste in sostanza le novità fondamentali in tema di licenziamenti, ma analizziamo più da vicino la nuova disciplina.
Licenziamento per motivi economici – Come è noto, i licenziamenti per motivi economici sono intimati per ragioni connesse all’andamento economico dell’impresa. La novità di fondo sta nel fatto che, se il giudice accerta che non ricorrano gli estremi del giustificato motivo, non è più tenuto a riconoscere il diritto alla reintegrazione sul posto del lavoro. Tuttavia, il lavoratore licenziato ha comunque diritto a un’indennità variabile tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre ai contributi previdenziali.
I parametri - L’importo dell’indennità tiene conto di alcuni parametri, quali: l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti, le iniziative assunte dal lavoratore per trovare lavoro. L’unico caso in cui può essere ordinata la reintegra, è per “manifesta insussistenza” dei fatti. In tal caso, infatti, il dipendente avrà diritto alla reintegrazione e a un’indennità di importo non superiore alle 12 mensilità, e al pagamento dei contributi previdenziali assicurativi.
Il problema interpretativo - A questo punto, però, si profila un problema interpretativo circa la nozione di “manifesta infondatezza”, in quanto non sarà agevole capire quando un licenziamento è soltanto “infondato”, oppure è “manifestamente” infondato.
Conciliazione preventiva - Altra novità consiste nell’introduzione di una nuova procedura di conciliazione preventiva. In tali caso, il datore di lavoro deve inviare una comunicazione preventiva alla DTL competente per territorio, con la quale comunica l’intenzione di procedere la licenziamento, indicandone le ragioni e illustra le eventuali misure di ricollocazione. Dopo aver ricevuto la comunicazione, la DTL convoca le parti entro 7 giorni e la procedura deve concludersi entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione. Se la conciliazione fallisce, il datore può intimare il licenziamento al lavoratore. Il licenziamento in tal caso ha efficacia dal giorno di avvio della procedura stessa, salvo il diritto al preavviso o all’indennità sostitutiva, ma i giorni di lavoro svolti si considerano come preavviso lavorato. Se, invece, la conciliazione ha esito positivo vi è la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, dove il lavoratore ha diritto ad accedere all’ASpI (Assicurazione Sociale per l’Impiego).