7 gennaio 2014

Licenziamento disciplinare. Il lavoratore rimane tutelato

Il lavoratore che perde il lavoro per licenziamento disciplinare ha diritto a chiedere l’ASpI

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – Rimane tutelato il lavoratore che subisce un licenziamento disciplinare. In questi casi, infatti, sussiste sia il diritto all'ASpI del lavoratore sia il dovere del relativo versamento contributivo a carico del datore di lavoro. A precisarlo sono i CdL a seguito di un quesito pubblicato sul proprio sito.

Il quesito – La Fondazione Studi dei CdL è stata interrogata in merito all’applicazione della disciplina dell’ASpI per i dipendenti che hanno perso il lavoro. In particolare è stato chiesto se un ex lavoratore che ha perso l’occupazione per licenziamento disciplinare ha diritto a richiedere l’assegnazione dell’ASpI.

La risposta –
Gli esperti della Fondazione, nel ricordare che l’ASpI è stata introdotta con la Riforma del Lavoro (L. n. 92/2012) al fine di fornire un’indennità di disoccupazione ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria, si rifà all’interpello n. 29/2013 del MLPS per chiarire il caso sottoposto. L’interpello in questione spiega che “non sembra potersi escludere che l’indennità di cui al comma 1 e il contributo di cui al comma 31 dell’art. 2, L. n. 92/2012 siano corrisposti in ipotesi di licenziamento disciplinare, così come ha voluto chiarire l’INPS, che è intervenuto con numerose circolari (cfr. INPS circc. n. 140/2012, 142/2012, 44/2013) per disciplinare espressamente le ipotesi di esclusione della corresponsione dell’indennità e del contributo in parola senza trattare l’ipotesi del licenziamento disciplinare”. Da ciò si deduce, come tra l’altro chiarito dal MLPS, che le cause di esclusione dall’ASpI e del contributo a carico del datore di lavoro sono tassative e riguardano i casi di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa, v. INPS circc. n. 97/2003, 142/2012, 44/2013, ovvero delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. A confermare il suddetto orientamento è intervenuta la Corte Costituzionale (sentenza n. 405/2001) stabilendo che, in caso di licenziamento disciplinare, venisse corrisposta l’indennità di maternità, pronunciandosi nel senso di ritenere che una sua esclusione integrasse una violazione degli artt. 31 e 37 della Costituzione, in quanto alla protezione della maternità andava attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, trovando già “il fatto che ha dato causa al licenziamento [...] comunque in esso efficace sanzione”. Quindi, analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità, anche il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore, pertanto negare la corresponsione della ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti. Per quanto riguarda invece l’inquadramento del licenziamento disciplinare, viene chiarito che non può ex ante essere qualificato come disoccupazione “volontaria”. Ciò in quanto la sanzione del licenziamento quale conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore, sia pur essa volontaria, non è “automatica” senza contare l’impugnabilità dello stesso. In tali casi, afferma il MLPS, potrebbe risultare peraltro iniquo negare la protezione assicurata dall’ASpI nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento impugnato. In definitiva, il Ministero del Welfare afferma che non sembrano esservi margini per negare il contributo a carico del datore di lavoro previsto dall’art. 2, comma 31 della L. 92/2012, in quanto lo stesso è dovuto “per le causali che, indipendente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI”.
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