Premessa – Importante svolta giurisprudenziale in tema di mobbing. Infatti, affinché si configuri l’atto discriminatorio del mobbing occorre la presenza di elementi strutturali sia sotto il profilo oggettivo, costituito dalla frequenza e ripetitività nel tempo dei comportamenti del datore comportanti abusi nei confronti del lavoratore, sia sotto il profilo soggettivo, rappresentato dalla coscienza e intenzione del primo di causare danni. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19782/2014.
La vicenda – Il caso riguarda un contenzioso instaurato tra una s.p.a., un suo dipendente e la società assicuratrice chiamata in causa a garanzia dei danni. In pratica, il dipendente cita in causa sia la società datrice di lavoro che la società assicuratrice, al fine di accertare la sussistenza della condotta persecutoria tenuta dal datore di lavoro nei propri confronti e del nesso causale tra tale condotta e le patologie contratte, nonché tesa alla condanna al risarcimento del danno (biologico, morale, esistenziale) subito dal lavoratore. I Giudici della Corte d’Appello hanno immediatamente escluso la possibilità che si potesse configurare la fattispecie del c.d. terrorismo psicologico e, in ogni caso, l'elemento dequalificante e discriminatorio di mobbing. Ciò in quanto non vi è l’esistenza di elementi strutturali sia sotto il profilo oggettivo, costituito dalla frequenza e ripetitività nel tempo dei comportamenti del datore comportanti abusi nei confronti del lavoratore, sia sotto il profilo soggettivo, rappresentato dalla coscienza e intenzione del primo di causare danni. Il dipendete impugna la sentenza e ricorre in Cassazione, sostenendo che la sentenza avrebbe violato i principi di diritto in punto di mobbing, ritenendo che non ricorressero né la frequenza e ripetitività nel tempo dei comportamenti del datore di lavoro concretanti abusi nei confronti del lavoratore né la coscienza e l'intenzione del primo di causare danni al secondo.
La sentenza – La Suprema Corte conferma la tesi dei Giudici di secondo grado e respingono il ricorso del lavoratore. Al riguardo, la sentenza afferma che nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, il datore di lavoro non solo è contrattualmente obbligato a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e psichica del lavoratore dipendente (ai sensi dell'art. 2087 cod. civ.), ma deve tenere comportamenti che possano cagionare danni di natura non patrimoniale, configurabili ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i suddetti diritti. Pertanto, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono quindi ricorrere molteplici elementi:
• una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
• l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
• il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
• l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
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