17 agosto 2015

Part-time e intermittenti. Il punto dei CdL

Part-time anche nelle P.A. e job on call regolamentato dai contratti collettivi: ecco come cambia il lavoro secondo i CdL

Autore: Redazione Fiscal Focus
Il lavoro a tempo parziale diventa più flessibile. Infatti, a seguito della revisione prevista dal D.Lgs. n. 81/2015 sul riordino delle tipologie contrattuali, è stata concessa la possibilità di poter stipulare contratti di lavoro part-time anche alle Pubbliche Amministrazioni. Per quanto riguarda, invece, il lavoro intermittente viene dato più potere ai contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.
Ad analizzare gli effetti dei due istituti di lavoro è la Fondazione Studi CdL con la circolare n. 18/2015.

Part-time
– Entrando più nel dettaglio del lavoro a tempo parziale, si specifica innanzitutto che il legislatore ha abrogato integralmente il D.Lgs. n. 61/2000, unificando, dopo ben dodici anni, la disciplina applicabile al settore pubblico e quella applicabile al settore privato.
Non viene più riproposta, inoltre, la divisione tra part-time orizzontale, verticale e misto e vengono ricomprese nelle clausole elastiche (variazione della durata della prestazione) le clausole flessibili che comportavano la facoltà di variare la collocazione dell’orario di lavoro. A tal proposito, i contratti collettivi stabiliscono:
• condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa;
• condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa;
• i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa;
• condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l'eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche.

Vi è, inoltre, da segnalare il fatto che laddove il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non contenga una specifica disciplina in merito al “lavoro supplementare”, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15%, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
Le ore di lavoro supplementare effettuabili, nonché le conseguenze del relativo superamento, sono stabilite dai contratti collettivi.

Intermittenti - Nell’ambito del lavoro intermittente, invece, il Legislatore ribadisce che sia la contrattazione collettiva a definire le esigenze per l'utilizzo del lavoro a chiamata, mentre in sua assenza dovrà intervenire un apposito decreto ministeriale di cui, però, ancora oggi, non si ha traccia. A tal proposito, si ricorda che il contratto di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti di età superiore a 55 anni e con meno di 24 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età. Mentre le P.A. restano esclusi dalla possibilità di poter stipulare rapporti di lavoro intermittenti.

Quanto ai limiti di utilizzo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso – eccezion fatta per il settore del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo - per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento di tale periodo il rapporto di lavoro si trasforma a tempo pieno e indeterminato.
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