La data del 1° marzo è arrivata e con essa anche le nuove regole per i datori di lavoro che intendono assumere un lavoratore mediante l’istituto del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Le modifiche apportate dal Decreto Legislativo approvato il 20 febbraio scorso nel Cdm (si attende ancora la pubblicazione in G.U.), vanno a intaccare quello che per anni è stato il punto fermo per i lavoratori: l’art. 18 dello Statuto del Lavoratori (L. n. 300/1970).
Al riguardo, le novità principali si registrano sul fronte dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo eliminando la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Inoltre, viene meno anche la procedura preventiva prevista presso la DTL (per le aziende sopra i 15 dipendenti). Infatti, nel caso in cui il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del licenziamento per GMO o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il lavoratore avrà diritto esclusivamente a un’indennità (non soggetta a contribuzione previdenziale) pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.
Tuttavia, esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. In tal caso, l’indennità risarcitoria non può essere superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr.
Campo di applicazione – La nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi si applica ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo. Mentre per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto restano valide le norme precedenti. Quindi, quello che rileva è la data di assunzione del lavoratore. In particolare, le nuove regole si applicano:
• ai nuovi assunti (dopo l’entrata in vigore del D.Lgs) che hanno la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
• nei casi di conversione di contratto a tempo determinato o apprendistato in contratto a tempo indeterminato, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs;
• a tutti i lavoratori, anche se assunti precedentemente a questa data, nel caso in cu il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute dopo l’entrata in vigore del decreto, superi la soglia dei 15 dipendenti.
Licenziamento discriminatorio – Nulla cambia per quanto riguarda il licenziamento discriminatorio. In tal caso, infatti, il giudice dispone la reintegrazione con risarcimento di almeno 5 mensilità. Tuttavia, il lavoratore conserva la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, 15 mensilità di retribuzione entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla comunicazione. Qualora il licenziamento sia intimato verbalmente, quest’ultimo è nullo con la conseguente reintegra nel posto di lavoro.
L’unica modifica rispetto alla vecchia disciplina si registra in caso di licenziamento illegittimo per inidoneità fisica o psichica. In tali casi, il nuovo regime prevede la nullità, con reintegrazione (opting out), con risarcimento di almeno 5 mensilità.
È utile precisare che tali regole valgono per tutte le imprese, indipendentemente dal numero dei dipendenti e dalla loro anzianità di servizio.
Conciliazione facoltativa – È importante sottolineare che sia la reintegra sia i nuovi indennizzi saranno eventualmente applicati a seguito di una controversia davanti al giudice, dalla quale scaturisca un giudizio di illegittimità del recesso. Infatti, per evitare di andare in giudizio, si potrà fare ricorso alla nuova conciliazione facoltativa incentivata. In questo caso il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari a un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a 2 e sino a un massimo di 18 mensilità.
Con l’accettazione, il lavoratore rinuncia alla causa.
Licenziamenti collettivi - Per i licenziamenti collettivi il decreto stabilisce che, in caso di violazione delle procedure (art. 4, comma 12, Legge 223/1991) o dei criteri di scelta (art. 5, comma 1), si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli individuali (da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità).
In caso di licenziamento collettivo intimato senza l’osservanza della forma scritta, la sanzione resta quella della reintegrazione, così come previsto per i licenziamenti individuali.
Piccole imprese – Per le piccole imprese invece, la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità crescente di una mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità.
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