4 agosto 2016

Videosorveglianza: cosa cambia col correttivo

Il correttivo al Jobs Act, se approvato nella versione attuale comporterà ulteriori modifiche rispetto a quelle apportate con l’art. 23 D.Lgs. n. 151/2015, al tema dei controlli a distanza

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS
Premessa - Quello della videosorveglianza è un tema rimasto a lungo in disparte all’interno dell’articolo che lo regolava, cioè l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori. Ma tale tema, grazie a uno dei decreti applicativi del Jobs Act, e precisamente con il D.Lgs. n. 151/2015 ha trovato nuovo terreno fertile di discussione.

Art. 4 novellato - In particolare, con la modifica apportata lo scorso anno è cambiata la struttura e le modalità di esercizio del controllo sull’attività dei lavoratori, pur rimanendo saldo il concetto che il controllo a distanza diretto appunto a “spiare” indebitamente l’attività dei lavoratori rimane comunque vietato.
L’obiettivo del Legislatore è stato sostanzialmente quello di rendere più elastico il margine di strumenti che il datore di lavoro può installare sul luogo di lavoro senza dover attivare procedure complicate e in alcuni casi farraginose anche solo per installare dei semplici computer.

Il correttivo al Jobs Act e l’esclusione del ricorso avverso il provvedimento - Ma le modifiche all’articolo 4 St.Lav. non sembrano concluse. Infatti con il correttivo del Jobs Act – che comporterà un perfezionamento di quegli istituti che nel corso dei primi mesi di applicazione hanno mostrato le loro vulnerabilità – si prevedono cambiamenti anche per quanto concerne il disposto dell’articolo citato, e soprattutto nella parte in cui si prevede la possibilità di procedere con ricorso avverso il procedimento di autorizzazione che ora viene richiesto alla DTL e che in futuro potrà essere effettuato presso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro: si segnala infatti che mentre la versione vigente dell’articolo nulla detta circa la possibilità di ricorrere avverso il provvedimento autorizzativo dell’amministrazione (con la conseguente possibilità ad esempio di adire con ricorso gerarchico l’organo gerarchicamente superiore), se tale modifica arrivasse a destinazione nelle aule parlamentari, si avrebbe un’esplicita impossibilità di ricorrere su questo tipo di atti, che si considereranno definitivi dal momento dell’emanazione del provvedimento.
Infatti, anche se l’articolo non si pronuncia sul tema:
  • è ancora possibile che l’interessato proceda con ricorso gerarchico entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento sia per motivi che riguardano la legittimità che il merito del provvedimento in questione;
  • l’amministrazione segnala ancora all’istante l’indicazione del termine e della struttura amministrativa a cui indirizzare (eventualmente) il ricorso, come detta la disciplina generale su tale tema.

Il fatto che il correttivo in questione sancisca la definitività del provvedimento in questione, di fatto annulla qualsivoglia genere di possibilità di ricorso avverso il provvedimento.

I presupposti di installazione - Rimangono comunque fermi, stante la nuova configurazione dell’art. 4 della L. 300/1970, i principi sulla base dei quali è possibile provvedere all’installazione di strumenti che possano comportare anche un controllo sull’attività dei lavoratori. Sul punto, appare utile segnalare, che le apparecchiature citate sono installabili solo se sussistono:
  • esigenze organizzative o/e produttive;
  • esigenze legate alla sicurezza sui luoghi di lavoro;
  • esigenze di tutela del patrimonio aziendale;

e che in nessun caso esse sono installabili al solo scopo di controllare i lavoratori.

L’accordo/autorizzazione - Qualora comunque sussistano i presupposti elencati, si dovrà procedere al previo accordo con le RSA o RSU, o in loro mancanza (o in caso di mancato accordo) con richiesta di autorizzazione (che deve essere inoltrata PRIMA dell’installazione stessa, la quale potrà essere effettuata solo in presenza di provvedimento autorizzatorio); con riferimento alla procedura amministrativa, si ricorda che mentre ora l’istanza deve essere inviata alla DTL, con il correttivo in questione, essa dovrà essere inviata al nuovo Ispettorato Nazionale del Lavoro.

L’eccezione – L’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015, che ha modificato l’art. 4 della L. n. 300/1970, ha previsto anche un’eccezione alla necessità di accordo, e più precisamente, il fatto che “la disposizione di cui al comma 1 [autorizzazione o accordo sindacale] non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.

Il collegamento con il Codice Privacy – Si ricorda ancora che ai sensi del comma 3 dell’art. 4, “le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196”, e che di conseguenza, oltre alle prescrizioni dello Statuto sarà necessario anche tenere in considerazione le prescrizioni del Codice della Privacy, il quale prevede, al fine dell’utilizzabilità delle informazioni raccolte, l’introduzione di un disciplinare interno che segnali ai lavoratori le modalità con cui tali strumenti vengono utilizzati e quali sono le condizioni per le quali si può procedere a un controllo dell’attività svolta.

In caso di violazione – Ai sensi del secondo comma dell’art. 23 del D.Lgs. 151/2015, cambia anche l'articolo 171 del Codice Privacy, che prevede ora che “la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 113 e all’articolo 4, primo e secondo comma, della Legge 20 maggio 1970, n. 300, è punita con le sanzioni di cui all'articolo 38 della Legge n. 300 del 1970”, per cui si ha una pena da 154 a 1.549 euro e finanche arresto da 15 giorni ad un anno, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, come specificato anche dalla nota 11241 del Ministero del Lavoro dell’1 giugno 2016.
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