25 luglio 2020

A rotoli e a rotelle

Autore: Ester Annetta

92 ore di negoziato, 5 giorni di trattativa. Alle 5.32 del mattino del 21 luglio, dopo l’ennesima notte di confronti e discussioni, i leader dei 27 Paesi dell’Unione Europea hanno siglato l’accordo sul famigerato Recovery Fund, il piano straordinario da 750 miliardi per impedire che l’economia dei Paesi più colpiti dalla crisi causata dal Covid-19 vada a rotoli. Il 28% del pacchetto – cioè 209 miliardi tra sussidi e prestiti – è stato assegnato all’Italia, che ora ha dunque qualche strumento concreto in più per varare il suo piano di rilancio.

Sono questi i numeri da cui – tra la soddisfazione di tutti – il nostro Paese riparte.

Da ogni parte, da qualunque bandiera, la soddisfazione per il traguardo raggiunto è stata reale e compatta. Ora è da dimostrare in concreto quali utilità sapranno trarsi dall’impiego di quei fondi, nella convinzione che, se è verro che “non ci si salva da soli” e che l’Unione (quella Europea, con la U maiuscola) fa la forza, è altrettanto vero che le priorità vanno ben valutate e gli sprechi scongiurati. Il cattivo utilizzo delle risorse è stato difatti tra i temi più scottanti del confronto, quello che ha incontrato la riottosità dei Paesi frugali, i “parsimoniosi”, più propensi a concedere prestiti – e dunque somme da doversi rendere – piuttosto che sussidi a fondo perduto.

Viene perciò facile comprendere il disappunto che, a poche ore dal faticoso traguardo raggiunto a Bruxelles, si è riversato sull’annuncio del Ministro dell’Istruzione di dotare le scuole italiane di banchi monoposto a rotelle.

Secondo la Azzolina si tratterebbe al momento della soluzione “che garantisce il maggior distanziamento”, necessario per rispettare le norme anti-contagio per prevenire una nuova ondata del coronavirus; consente, inoltre di “massimizzare gli spazi ed evitare lo sdoppiamento delle classi”. Al tempo stesso costituisce – in prospettiva futura, quando sarà possibile il riavvicinamento - un’innovazione didattica che permetterà agli studenti di lavorare in gruppo.

Peccato che ognuna di queste postazioni semoventi costi ben 300 Euro, a fronte del costo di circa un sesto necessario per acquistare un tradizionale banco di legno, di quelli col sottobanco dove poter mettere i libri.

Per pagare i banchi il governo ha stanziato fondi nel decreto rilancio, con l’intento di dotare le aule scolastiche degli arredi necessari entro un mese, affinché tutto possa essere pronto per la riapertura di settembre.

Di banchi ne occorrono tre milioni e, pertanto, in questi giorni, il Commissario per l’emergenza Domenico Arcuri ha indetto una gara pubblica europea per la loro fornitura, ripartendone il numero per metà in banchi monouso tradizionali e per la restante metà negli innovativi e coloratissimi banchi che tanto piacciono al Ministro.

Certo è che, in un contesto di profonda incertezza e di confusione qual è, allo stato attuale, quello della scuola - in cui si assiste come non mai a contraddizioni al limite del grottesco, che pongono a contesa, per esempio, la mancanza di 80mila docenti con l’accanimento di procedure di reclutamento sempre più farraginose ed irrisolutive, oppure la richiesta di percorsi formativi estenuanti per gli insegnanti di sostegno con lo smacco di far salire in cattedra docenti non laureati - la trovata del Ministro si inserisce alla perfezione, connotandosi di una bizzarria che fa tremare i polsi, considerato che di ben altro ci sarebbe bisogno che non di un parco di mezzi semoventi che, ben che vada, gli studenti piloteranno come automobiline da autoscontro.

Perché invece non stabilizzare i precari storici? Perché non investire nell’edilizia scolastica sanando fatiscenze o ideando nuovi spazi in cui convogliare le classi senza dover utilizzare cinema e teatri per le lezioni? Perché non acquistare le dotazioni informatiche necessarie a poter far fronte anche all’eventuale ipotesi di un non ritorno in aula?

Se tanto si è discusso per convincere i Paesi frugali della bontà di progetti d’investimento che tendano a scongiurare sprechi di risorse, bisognerebbe allora forse rivedere l’ordine delle priorità, scendere dalla nuvole e piantare i piedi bene in terra per individuare da vicino le concrete necessità su cui occorre intervenire per impedire che idee di scarsa sostanza finiscano per meritarci il biasimo di chi (a stento) ci ha dato fiducia.

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