22 marzo 2024

Aspetti fiscali e tributari delle nuove forme di lavoro e Smart Working

Il mondo del lavoro sta attraversando in questi anni una profonda trasformazione, accelerata dalle dinamiche innescate dalla pandemia e dalle possibilità correlata all’oramai capillare adozione delle tecnologie digitali nei processi aziendali e lavorativi. Nuove modalità di lavoro, come lo smart working, stanno accogliendo una sempre maggiore adozione e integrazione nelle dinamiche aziendali, anche alla luce dei benefici potenziali sia per le aziende sia per i lavoratori.
Per rimanere aggiornato sugli sviluppi inerenti lo smart working per lavoratori fragili e genitori in Italia, leggi il nostro articolo qui.
L'adozione di queste modalità di lavoro presenta nuove sfide dal punto di vista fiscale e tributario. In questo articolo forniremo una panoramica degli aspetti fiscali e tributari che regolano queste modalità lavorative, tenendo conto delle normative vigenti e delle implicazioni per aziende e lavoratori.

Introduzione alle nuove modalità di lavoro e smart working

Il modello di Smart working principalmente adottato nel nostro paese consente di lavorare da remoto sfruttando le tecnologie digitali, trasformando il tradizionale concetto di ufficio. Tuttavia gli aspetti interessanti e innovativi dello Smart Working impattano su ulteriori aspetti del lavoro: al di là della sede di lavoro, infatti, lo smart working incentiva una maggiore flessibilità e un nuovo approccio alla gestione del tempo, delle risorse e degli obiettivi professionali e personali.
Pur nelle evidenti difficoltà nell’adottare un cambiamento così repentino, sono molte le aziende nel nostro Paese che hanno riconosciuto che lo smart working può rappresentare una strategia lavorativa sostenibile anche nel lungo termine.
Gli aspetti fiscali e legali di queste modalità lavorative assumono quindi un ruolo di fondamentale importanza, richiedendo una riflessione approfondita sulle normative applicabili. In particolare, l'adozione dello smart working solleva questioni inedite riguardanti la residenza fiscale, la tassazione dei redditi e la gestione dei rapporti di lavoro, richiedendo alle aziende e ai lavoratori di adattarsi a un panorama normativo in costante cambiamento. La comprensione di queste dinamiche risulta pertanto fondamentale al fine di assicurare la conformità fiscale e sfruttare appieno i vantaggi che il lavoro agile può offrire.

Aspetti fiscali dello smart working e residenza fiscale

L'adozione del lavoro agile comporta delle complessità in termini fiscali, soprattutto per quanto riguarda la determinazione della residenza fiscale. L'articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 introduce e disciplina il concetto di "residenza fiscale". In particolare, secondo la disposizione menzionata, vengono considerate residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta (cioè, 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile:
  • sono registrate nelle anagrafi della popolazione residente;
  • hanno il proprio domicilio nel territorio dello Stato italiano;
  • hanno la propria residenza nel territorio dello Stato italiano.

L'articolo 3 del TUIR stabilisce altresì che i residenti in Italia sono tenuti a dichiarare e tassare tutti i loro redditi, senza distinzione di provenienza. Tale principio è noto come "World Wide Taxation Principle" e consente a diversi Paesi di tassare i redditi guadagnati all'estero da cittadini italiani.
Nel caso di lavoro in smart working, le regole per determinare la residenza fiscale rimangono quelle stabilite dall'articolo 2 del TUIR. Questo significa che il luogo di lavoro non influisce sui criteri di residenza fiscale. In altre parole, le modalità con cui viene svolta l'attività lavorativa non influiscono sui criteri per stabilire la residenza fiscale, che rimangono legati all'adempimento di almeno una delle condizioni elencate nell'articolo 2 del TUIR. Ad esempio, un cittadino straniero che lavora dall'Italia per un'entità estera può essere considerato residente fiscale in Italia se vi mantiene la principale sede dei suoi rapporti personali e affettivi. Analogamente, un italiano che lavora all'estero ma è ancora registrato anagraficamente in Italia, risulta residente fiscale italiano.
In merito, va considerato anche il principio delle Convenzioni contro le doppie imposizioni tra l'Italia e il Paese estero in cui si genera il reddito. Infatti, le disposizioni presenti nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, sottoscritte dall'Italia con i vari Stati esteri, hanno una prevalenza, come evidenziato dall'articolo 169 del TUIR e dall'articolo 75 del D.P.R. n. 600/1973, confermato anche dalla giurisprudenza costituzionale.
Il Modello di Convenzione OCSE chiarisce che la residenza fiscale è determinata dalla legislazione di un particolare Stato, considerando il domicilio, la residenza, la sede di direzione, o criteri di natura analoga. In caso le norme entrino in conflitto, si applicano le tie breaker rules per attribuire la residenza a uno Stato specifico. Queste regole privilegiano la abitazione permanente e considerano in via subordinata il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità. La nozione di abitazione permanente implica un uso duraturo e continuo, non legato a brevi soggiorni temporanei.
Elementi da considerare che possono influenzare il luogo in cui vengono pagate le imposte includono, quindi, la durata del soggiorno all'estero e l'iscrizione all'AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all'estero). Dunque, per i lavoratori che svolgono attività in modalità smart working, ad esempio quando si tratta di lavoratori tra Italia e Svizzera, diventa di cruciale importanza analizzare anche le convenzioni bilaterali che regolamentano la tassazione dei redditi.

Smart working transfrontaliero e tassazione

Il lavoro agile svolto in modalità transfrontaliera, ovvero da parte di residenti in uno Stato che prestano attività lavorativa in un altro, presenta specificità in materia di tassazione. L'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 25/2023, ha fornito importanti chiarimenti in merito, soprattutto alla luce del nuovo Accordo internazionale siglato con la Svizzera.
Il punto di svolta riguarda proprio il regime di tassazione: è stato abbandonato il principio di tassazione esclusiva nel Paese dove effettivamente si lavora, previsto dal precedente accordo del 1974, per abbracciare un modello di tassazione concorrente. In base a questo principio, il reddito da lavoro transfrontaliero viene assoggettato ad imposta sia nello Stato di residenza che nello Stato di fonte, secondo quote prestabilite. In aggiunta, la legge n. 83/2023, che ratifica l'Accordo tra Italia e Svizzera del 2020, ha introdotto alcune modifiche, tra cui le seguenti:
  • l'aumento della franchigia per i redditi da lavoro dipendente dei lavoratori transfrontalieri, che è passata da 7.500 euro a 10.000 euro;
  • la possibilità di dedurre i contributi previdenziali per il prepensionamento di categoria;
  • la possibilità di escludere dalla base imponibile dell'Irpef i contributi di supporto familiare erogati dagli Stati in cui i lavoratori operano.

Doppia imposizione e accordi bilaterali

La questione della doppia imposizione nel contesto dello smart working transnazionale assume rilievo in virtù degli accordi bilaterali. Questi accordi, come quelli tra Italia e Svizzera, sono fondamentali per definire il regime fiscale applicabile ai lavoratori che operano oltre confine. L'essenza di questi accordi sta nel prevenire la tassazione dei redditi nello stesso lavoratore in più Stati, stabilendo in modo chiaro le regole per l'attribuzione dei diritti impositivi. Per esempio, l'accordo Italia-Svizzera, precedentemente menzionato, ha innovato la tassazione dei lavoratori transfrontalieri, modificando le precedenti dinamiche e introducendo un sistema di tassazione concorrente tra i due Paesi. Questo implica che entrambi gli Stati hanno il diritto di tassare una porzione del reddito, basandosi su criteri come il luogo di lavoro effettivo e la residenza fiscale del lavoratore.
Le convenzioni contro la doppia imposizione si basano principalmente sui modelli elaborati dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e, in alcuni casi, su quelli dell’ONU. Oltre a evitare la doppia imposizione, questi accordi hanno anche lo scopo di combattere l'evasione e l'elusione fiscale. A tal fine, includono disposizioni per la cooperazione amministrativa tra gli Stati, come lo scambio di informazioni fiscali. In sostanza, per coloro che lavorano in modalità smart working in questi paesi, è di fondamentale importanza comprendere come tali accordi influenzino la propria situazione fiscale, garantendo la conformità e ottimizzando la propria posizione fiscale.
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