30 novembre 2019

Bellezza nascosta

“La felicità è un atto rivoluzionario, tutti siamo abili alla felicità”.
E’ un’affermazione forte, a prima vista nemmeno troppo chiara (a meno che non si sia seguaci della filosofia buddista); e, tuttavia, bastano appena due ore e mezzo per comprendere che questa affermazione, riportata da Paolo Ruffini a conclusione del suo spettacolo teatrale UP&Down è profondamente vera, ove si parta dalla giusta premessa: per essere felici altro non serve che essere vivi.

E’ una lezione bellissima quella dell’attore livornese, che, pur non dismettendo i panni del comico e senza lasciare da parte l’ironia, rivela una profondità d’animo ed una sensibilità inaspettati.
In scena c’è lui, che – secondo l’impalcatura data allo spettacolo – dovrebbe essere il protagonista di un One Man Show, un dissertatore che si intrattiene in sagaci monologhi sulle relazioni: quelle umane, affettive, sociali, familiari, tutte insomma.
Ma la sua esibizione viene continuamente interrotta dalle incursioni di altri sei personaggi che, in una maniera o nell’altra, lo sfidano per dimostrargli di essere tutti più abili di lui.

Si, “abili”: un aggettivo che non è impiegato a caso perché i sei guastafeste che infastidiscono il mattatore della serata sono cinque ragazzi con sindrome di Down e uno con disturbo dello spettro autistico.

Con un po’ di cinismo ed un altro pizzico di pregiudizio il primo pensiero che potrebbe venire in mente è che uno spettacolo così strutturato risponda ad una qualche becera logica di mercato, che sia un’operazione commerciale in cui si speculi o si sfrutti la disabilità celandola dietro un’apparente valenza educativa, di quelle che sbandierano il vessillo dell’inclusione e del rispetto per la diversità perché, si sa, il buonismo è una strategia che ha sempre successo.

Ma basta poco per dissipare quel dubbio ed accorgersi che quanto sta accadendo su quel palco, offerto con le sembianze di uno spettacolo è quanto di più vero si possa immaginare: ad esibirsi su quelle tavole non è affatto la disabilità, ma tutte quelle altre abilità di cui ciascuno di quei ragazzi dispone, quelle che spesso si ignorano perché forse l’attenzione nei loro confronti non è sufficiente o perché non si è riusciti a scorgerle e portare fuori.

C’è un universo meraviglioso dietro la risata sguaiata e contagiosa di ogni persona nata con un cromosoma in più; c’è una profondità incommensurabile nell’anima di quelle che sembra seguano il filo dei loro pensieri astratti e non riescono a guardarci negli occhi; ci sono sentimenti inespressi dietro ogni muro eretto da neuroni o geni ribelli.
Soprattutto, c’è voglia di vivere. Una meravigliosa voglia di vivere.

La lezione che chiunque dovrebbe apprendere, allora, è che la disabilità non è sinonimo di diversità intesa in senso dispregiativo, ma, più semplicemente, che ci sono individui che funzionano in maniera diversa e che per questo non sono anormali, ma hanno, piuttosto, una loro “speciale normalità”.

Si: speciale. In maniera sublime.
Perché si tratta di individuai autentici, i cui pensieri sono senza filtri, le cui parole sono senza artifizi, il cui agire è senza malizia e senza pregiudizi. Sono, insomma, le persone più vere che si possano incontrare.
Andrea, David, Giacomo, Erica, Simone, Federico: ciascuno di loro con quello che ha scoperto di sé e dona al pubblico ad ogni replica (la capacità di imitare, quella di fare umorismo o una straordinaria voce da tenore) tocca il cuore di ogni spettatore, offrendo l’insegnamento che ciò che è diverso è un arricchimento e non una privazione; che il disagio può essere un’opportunità; che insieme e non da soli si possono raggiungere traguardi inimmaginabili; che le barriere più ostinate sono solo i pregiudizi che esistono nella mente.

Vedere quei ragazzi così, presi dalla loro performance e tuttavia perfettamente a loro agio, disinvolti e spontanei in ogni loro gesto ed espressione - in barba ai canoni della recitazione - e, soprattutto, innegabilmente felici, è la morale vivente, tangibile, trasmessa da questo straordinario spettacolo, alla cui bellezza si somma quella del pubblico in sala, una moltitudine gioiosa e festante, contagiata dalla felicità autentica e palpabile degli attori, protagonisti assoluti di un miracolo che, se anche non restituirà mai loro ciò di cui la natura li ha privati, renderà la ricchezza delle loro anime ancora più preziosa.


Up & Down di Paolo Ruffini
Regia di Lamberto Giannini
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