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Il sorriso di Valerio

Autore: Ester Annetta
I rumori di sottofondo che arrivano da fuori - risa di bimbi, un tagliaerba che riparte ad intervalli, clacson lontani – sono all’improvviso superati da un suono più alto, dapprima indistinto, poi sempre più chiaro: sono applausi, trilli di fischietto e parole urlate in un megafono, cui risponde un coro compatto di cento altre voci.
Fatico qualche secondo a comprendere di cosa si tratta; poi l’occhio mi cade sul calendario poggiato sulla scrivania: è il 22 febbraio.

E allora ricordo.

Succede così ogni volta, da venticinque anni, dacché vivo in questo quartiere. Ma tutto è iniziato ancora prima, quarant’anni fa, da quando quella data è diventata un giorno da commemorare, il simbolo di una lotta e di una delle sue vittime più giovani: Valerio Verbano.

Pochi probabilmente ricordano questo nome: Valerio non era un magistrato, non era un poliziotto, e neppure “uno stinco di santo”; era soltanto un ragazzo di appena 19 anni, figlio della lotta politica che connotava gli anni di piombo, quando la gioventù di Roma e la città stessa erano divise per “zone” - rosse e nere (ed i colori avevano allora significato ben diverso da quello coniato in tempi di pandemia) - e le scuole, i licei in particolare, erano luoghi attivi, palestre dove si veniva iniziati alla politica e se ne acquisiva una coscienza.

Aveva iniziato il suo impegno politico a soli 14 anni, Valerio, all'interno del collettivo autonomo del liceo scientifico che frequentava – l’Archimede - nel quartiere Nuovo Salario. Ma era un militante attivo anche al di fuori dell’ambito scolastico, come membro del Comitato di lotta Valmelaina, derivazione territoriale di Autonomia Operaia.

Amava la fotografia e così aveva iniziato a documentare gli avvenimenti politici dell'epoca e a redigere una personale inchiesta sui movimenti di estrema destra nella capitale e sui rapporti tra neofascisti e servizi segreti. Forse fu questa la causa per cui venne colpito: nella tarda mattinata del 22 febbraio 1980 tre suoi coetanei suonarono alla porta di casa sua, in via Monte Bianco, nel quartiere Montesacro; «Siamo amici di suo figlio Valerio» dissero i tre al citofono alla madre, che replicò che suo figlio non era in casa.

«Possiamo salire ad aspettarlo? Fa freddo!». Lei, la signora Carla, aprì. I tre salirono, si calarono i passamontagna sul volto, ed entrarono in casa, armati di pistole col silenziatore. Aggredirono la donna e suo marito Sardo, li legarono, li imbavagliarono e li immobilizzarono sul loro letto con del nastro adesivo. Poi aspettarono.

Circa mezz’ora dopo Valerio tornò, posteggiò la sua Vespa 50 e salì in casa. I tre lo aggredirono; nella colluttazione Valerio riuscì anche a disarmare uno degli aggressori ed a tentare la fuga dalla finestra. Ma un colpo di pistola – uno solo – lo raggiunse alla schiena e cadde riverso sul divano.

I tre aggressori scapparono, lasciando nell’appartamento un passamontagna e una pistola. Poco dopo, un vicino che aveva udito lo sparo entrò in casa e liberò Carla e Sardo che corsero nell’altra stanza, dove Valerio giaceva sul divano: «mamma aiuto, aiutami mamma» - disse, e nient’altro. Morì mentre lo trasportavano in ospedale.

L’omicidio venne rivendicato prima da una sedicente formazione di sinistra, il ‘’Gruppo Proletario Organizzato Armato’’, che affermò di aver voluto colpire una spia, un delatore, un servo della polizia, precisando che l'omicidio era stato tuttavia un errore rispetto all'intenzione di punire Valerio solo con la gambizzazione.

Seguì a breve un’altra rivendicazione da parte dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) che fornirono precisi dettagli: "Abbiamo giustiziato Valerio Verbano. Il colpo che l'ha ucciso è un calibro 38. Abbiamo lasciato nell'appartamento una calibro 7.65. La polizia l'ha nascosta".

Poi ancora altre smentite ed altre rivendicazioni.

Fatto è che gli assassini di Valerio non furono mai identificati, né al termine della prima istruttoria (che si chiuse nel 1989) che, pur avendo ritenuta certa la collocazione dell’omicidio ne "l'ambiente criminoso legato all'estremismo di destra”, dichiarò l'impossibilità di individuare dei responsabili; né, tuttora, dopo la riapertura delle indagini, disposta nel 2011 dalla Procura della Repubblica di Roma.

Da quel lontano 1980, la signora Carla non aveva smesso mai di cercare giustizia e verità per suo figlio – anche dopo che pure suo marito se n’era andato - senza mai darsi pace. Era una tenace, non si arrendeva mai, ed era convinta di sapere chi aveva ucciso Valerio: militanti fascisti - di questo era certa – ma sarebbe arrivata infine anche a guardarli negli occhi.

Non smise mai di partecipare a quei cortei antifascisti che ogni anno, il 22 febbraio, hanno continuato a sfilare per il quartiere partendo da sotto casa sua, dove una targa recita: “Valerio Verbano, 19 anni, un comunista, assassinato dal piombo fascista. La sua vita, la sua figura, non va spiegata, raccontata: è dentro tutti noi, nel movimento rivoluzionario. Non un nome su di una via ma su tutte le vie, su tutte le piazze. I comunisti non lo dimenticano” ; ed è accanto a quella targa che adesso un’altra ricorda lei, morta ad 88 anni, a giugno del 2012, prima che il processo riaperto potesse darle qualche risposta: “A Carla” – recita – “ancora tra cent’anni ci sarà chi curerà questa ferita che non guarisce mai”.

Anche gli amici di Valerio di allora – oggi distinti signori di mezza età – ci sono ancora tra gli sfilanti, e sembra quasi che sia questa l’occasione per ritrovare la grinta e l’entusiasmo di quegli anni, quando in ciò per cui si battevano ci credevano davvero, fortemente, tenacemente. E parlano ai giovani d’oggi, raccontando quanto siano importanti gli ideali, quelli senza bandiere e senza discriminazioni, che corrispondono a valori universali di giustizia, uguaglianza e verità.

Ecco perché è stato scelto il muro di una scuola del quartiere per realizzare il maxi ritratto – inaugurato proprio questo 22 febbraio - che l’artista partenopeo Jorit (lo stesso che a Napoli ha, tra gli altri, dipinto un San Gennaro col viso di un uomo comune, un lavoratore, e il “dios umano” Maradona) ha dedicato a Valerio: anche lui sulle guance ha gli inconfondibili segni rossi, simbolo di battaglia, con cui l’artista connota tutti i personaggi da lui ritratti, visti come guerrieri della stessa “tribù umana”, che si battono per rivendicare valori e diritti.

Dall’alto di quel muro lo sguardo di Valerio ora sorride, con una dolcezza che si oppone alla crudeltà con cui è stato ucciso e che si traduce quasi nella serenità di chi, avendo continuato a credere nei suoi ideali e combattuto per le sue idee, non può apparire come uno sconfitto.

È questo il messaggio che quel volto oggi lancia alle nuove generazioni, agli adolescenti che, passando di lì e guardando in quegli occhi, possono comprendere che anche alla loro età le idee hanno un valore.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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