2 maggio 2020

L’eredità tradita

Autore: Ester Annetta

Quando 250 anni fa, un nobile di buon cuore milanese, Antonio Tolomeo Gallio Trivulzio, con le sue disposizioni d’ultima volontà istituì una fondazione destinata alla cura degli anziani meno abbienti della città, destinando il suo stesso palazzo a loro ricovero, mai neppure lontanamente avrebbe potuto immaginare quella triste sorte che più d’una volta avrebbe visto il suo Pio Albergo snaturare le proprie finalità, divenendo una tragica giostra di interessi, intrallazzi e corruzione.

Da illuminista – e illuminato – il principe si era da sempre interessato alle sorti dei più poveri, che all’epoca erano la gran parte della popolazione milanese, dedicandosi inizialmente a piccole opere di carità personali per poi ideare quel progetto ben più ampio, affidato al suo lascito. Secondo le sue dettagliate disposizioni, solo anziani malati e poveri potevano aver accesso al Pio Albergo, ed erano loro stessi che, una volta guariti, rimanevano per prestare assistenza a chi ancora restava. Gli incontri con le famiglie erano consentiti una sola volta a settimana, il giovedì, e durante le festività. Ognuno collaborava al mantenimento della struttura: i degenti pulendo le loro camere e gli inservienti le camerate e gli spazi comuni.

Fu ai primi del ‘900 che l’Albergo venne poi trasferito nella sede attuale, nel quartiere Baggina, che prende nome dalla strada per Baggio che l’attraversa. In quanto istituzione laica, poté sopravvivere all’eversione dell'asse ecclesiastico, giungendo ai giorni nostri con la sua attuale configurazione di ente pubblico e modificando la sua originaria funzione di ricovero per anziani indigenti in residenza per anziani e centro di riabilitazione e degenza.

Ma la sua non è stata sempre una storia lineare e trasparente, come si sarebbe convenuto alla memoria del suo benefico fondatore. Da Mani Pulite al Covid 19, sul buon nome e sulle buone intenzioni del Pio Albergo è stato ripetutamente gettato fango, creandosi così un guado in cui cinismo e speculazioni hanno continuato ad affondarlo.

Era il 1992, quando l’allora presidente Mario Chiesa, venne colto in flagrante mentre accettava una tangente di sette milioni di lire dall'imprenditore Luca Magni per assicurargli la vittoria dell'appalto per le pulizie dell'ospizio. D’accordo col giudice Di Pietro, Magni riuscì a far incastrare Chiesa, col cui arresto venne avviata la lunga sequenza degli avvisi di garanzia di Tangentopoli che segnò pure l’inizio della fine della Prima Repubblica.

Nel 2011 fu la volta di Affittopoli, lo scandalo legato agli affitti di favore, spesso a personalità note e abbienti della città, e ancora, nel 2012, quella di Parentopoli, che ha visto gran parte del patrimonio immobiliare dell’ente venduto ai membri della fondazione San Raffaele, allo scopo di ingrassare – di ritorno – le fila della fondazione del Pio Albergo.

Oggi è la volta del Covid.

Esposti e denunce del personale della struttura hanno aperto un nuovo capitolo, che parrebbe contribuire alla demolizione di quell’immagine d’eccellenza della sanità milanese già messa a dura prova dalle critiche mosse ai ritardi ed alla leggerezza con cui ha agito all’inizio dell’epidemia.

Si parla di “divieti” di utilizzare le mascherine che sarebbero stati imposti al personale nella prima fase dell’esplosione coronavirus: per evitare di allarmare i degenti – si è detto - in barba al rischio di una maggior diffusione del contagio che in tal modo si è però favorito. Ma poi trapela pure che la vicenda di un medico geriatra esonerato dal servizio perché invece, lui, l’uso delle mascherine al personale l’avrebbe autorizzato.
Si contano decessi, imputati però a bronchiti e polmoniti di stagione e mai al virus, fino a che i numeri non diventano considerevoli (circa 200 da marzo ad oggi) e trapelano filmati di decine di bare che invadono le sale e persino la cappella dell’ospizio.

Verità e negazioni; apparenza e verità: ancora una volta pare d’assistere al ciclico ripetersi di qualcosa che è già accaduto, pur se diversi sono i personaggi e le situazioni, quasi a conferma della vichiana teoria dei corsi e ricorsi storici.

Peccato che stavolta la posta sia molto più alta, poiché non sono entrati in gioco affari, denaro, guadagni, ma vite umane, per giunta tra le più fragili: quelle di persone che hanno vissuto esistenze di lavoro e sacrificio, che sono rimaste sole, che hanno perlopiù perso anche la memoria, il bene più grande che la loro generazione può consegnare alle più giovani e che, perciò solo, meriterebbero almeno rispetto.

E invece sono state lasciate senza protezione, libere prede di un virus che – lo abbiamo imparato – è proprio agli organismi più consumati e debilitati che si attacca più facilmente.

Sì, è possibile che la memoria degli scandali che in passato hanno travolto il Pio Albergo condizioni ancor oggi al punto da alterare la giusta percezione della realtà di questa nuova vicenda; che ci si affretti a trarre conclusioni sull’onda del ricordo collettivo prima ancora che sulla corretta disamina dei fatti; che si tenda a sovrapporre il passato al presente, suggestionati anche da particolari coincidenze, come quella che sia uno dei giudici di Mani Pulite – Gherardo Colombo – ad essere stato investito anche di questa nuova inchiesta.

Ma un dato resta incontestabile: quelle morti.

E se non fosse che, oltre ogni ragionevole dubbio, persista la fiducia nella pietà e nell’umanità dei nostri simili, la tentazione di credere che non di una sconsiderata leggerezza si sia trattato ma di deliberato disinteresse sarebbe forte.

Alla memoria del nobile Trivulzio, questo dramma saprebbe di tradimento.

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