18 novembre 2023

La resurrezione digitale

Autore: Ester Annetta
Finora ci si era limitati a considerarla soltanto una prerogativa del cinema e, come tale, legittimata da esigenze “di copione”, di continuità narrativa o di sceneggiatura, con l’unica finalità di soddisfare, dunque, appetiti cinefili perlopiù nella variante fantascientifica.

Così, nel 2016, nell’episodio Rogue One di Guerre Stallari (che rappresenta una “digressione” o, come si dice in gergo televisivo, uno “spin off” della nota serie di film) era toccato, per esempio, all’attore Peter Cushing – interprete del Governatore Tarchill, lo spietato comandante della Morte Nera, importante antagonista nel film – “resuscitare”, dal momento che era morto (realmente!) nel 1994.

L’artificio era stato possibile grazie alla sofisticata tecnologia digitale messa in atto da un’azienda ben titolata del settore, la Industrial Light & Magic, che, per la prima volta aveva accolto la sfida di “riesumare” deliberatamente e integralmente un attore deceduto, affidandogli un ruolo di primo piano.

Non è stato il solo caso: già prima era capitato che durante le riprese de “Il Corvo” (1994) fosse stato necessario integrare alcune sequenze con una versione digitale dell’attore Brandon Lee (anch’esso venuto a mancare nel mentre), e lo stesso era accaduto, nel 2000, con l’attore Oliver Reed che recitava ne “Il Gladiatore”. Allora, però, si era trattato di una necessità, una causa di forza maggiore che non ammetteva alternative, e non di una scelta ben precisa come nel caso di Rogue One.

Ad ogni modo, si erano impiegati espedienti e tecniche comunque affascinanti e, tutto sommato, innocue secondo la logica cui erano destinate.

Non può certo dirsi lo stesso, invece, di fronte ad un fenomeno (per la verità non nuovo neanch’esso, ma prima emarginato tra argini contenuti) che di recente sta dilagando, estendendosi ad ambiti che non appartengono più soltanto alla finzione.

In Cina sta infatti prendendo piede un nuovo business ad opera delle agenzie di pompe funebri: mediante l’utilizzo di foto e riprese audio/video dei defunti, si creano delle loro repliche – dall’aspetto, si, evanescente, come quello degli ologrammi 3D della principessa Leila di Star Wars, ma di dimensioni maggiori – in grado di prender parte persino al loro stesso funerale per accomiatarsi dai presenti o di interagire, anche dopo, con i superstiti che debbono elaborare il lutto. Si tratta infatti di chatbot che, grazie all’intelligenza artificiale, agiscono attivamente appropriandosi di voce, conoscenze, ricordi e abitudini del loro omologo reale, “continuandone l’esistenza” dopo la loro morte.

È vero che all’impiego di “spettri” si ricorre già, per esempio, in musei, biblioteche, esposizioni, dove personaggi storici o grandi ingegni “rivivono” in versione ologrammata per accompagnare con la loro narrazione i visitatori. Ma lì si tratta di strategie di comunicazione efficace comunque impiegate in un contesto culturale e divulgativo che giustifica il mezzo al fine.

È altrettanto vero che, già qualche tempo fa (cfr. in Fiscal Focus del 10 marzo 2023, “E il verbo si fece social”) un’azienda sud coreana, la DeepBrain, ha sviluppato Rememory, un programma che, sempre grazie all’IA, è in grado di ricreare l'immagine virtuale di una persona defunta ma servendosi di una pregressa registrazione audio-video precedentemente incisa dalla stessa, riproponendola quindi in videochiamata ai suoi parenti dopo la sua dipartita.

Nell’esperimento cinese, però, si va ben oltre e con implicazioni ben più importanti, che investono in misura non irrilevante anche aspetti emotivi e psicologici, con il rischio di conseguenze – non ultima lo scollamento dalla realtà – che potrebbero risultare dannose piuttosto che palliative del lutto.

Consentire che l’artificio diventi una tecnica consolatoria, evoca consistenti dubbi etici, oltre che di opportunità. Senza trascurare neppure l’aspetto giuridico, che di certo assume una portata rilevante quando dati personali che, con la dipartita dell’individuo, dovrebbero andare necessariamente incontro all’oblio, diventano invece un’autentica e pesante eredità che inevitabilmente reclama una qualche forma di tutela.

Temi, questi, su cui bisognerebbe riflettere con concretezza, anziché con la stessa eterea leggerezza e frangibilità di un ologramma.
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