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Per aspera ad astra

Autore: Ester Annetta
Il desktop del pc è diviso in quattro riquadri, riempiti da altrettanti volti. Qualcuno è un po’ più curato, barba rasata, una camicia ben stirata, giacca e cravatta in tinta oppure capelli ben in piega e trucco leggero; altri sono un po’ più sgualciti ma non certo per indifferenza: fa parte di quel look un po’ trasandato e “proletario” che da sempre è un po’ l’etichetta di sociologi, politologi, filosofi. Uno solo, quello nel riquadro in alto a sinistra, è il più ordinato, elegante e decisamente emozionato.

Non si tratta di una comune videoconferenza di gruppo, di quelle che sono ormai divenute consuete in questo tempo di distanza fisica: loro sono i membri di una commissione di laurea e quello in alto a sinistra è Matteo, studente di mass media e politica, corso magistrale, all’Alma Mater Studiorum di Bologna. Il laureando.

Ha condiviso con mio figlio (che qualche mese fa l’ha preceduto nel coronarsi d’alloro) gli ultimi due anni di studi, e ci teneva che, insieme ad un’altra manciata di amici cari, mantenesse fede a quella promessa reciproca che si erano scambiati tempo prima: ognuno di loro sarebbe stato spettatore della discussione della tesi e della proclamazione di ciascuno degli altri.

Da un angolo della camera spio anch’io quella insolita cerimonia. Manca la solennità del luogo: ogni figura si staglia su uno sfondo diverso, quello di una libreria, di una parete vuota o ornata d’un quadro o d’un crocifisso. Manca la tensione provocata dal colpo d’occhio d’una schiera di esaminatori seduti in linea dietro un’unica lunga scrivania. Manca il silenzio attento e compito dei parenti e degli amici che, alle spalle del candidato, bevono ogni sua parola e colgono ogni sua presa di fiato.

Eppure, l’emozione del momento c’è tutta, viva, forte, inalterata.

Matteo, con la sua folta barba rossa che, insieme ai capelli dello stesso colore, crea un unico contorno attorno al suo viso ed al suo sguardo attento, è lì fermo, nel suo abito serio che può vedersi solo a metà, le mani intrecciate poggiate sulla scrivania della sua camera, in attesa che il suo relatore, nel riquadro opposto al suo, introduca la sua tesi.

Poi comincia a parlare. Si esprime con chiarezza, mostrandosi deciso e consapevole; mantiene la stessa fermezza e la stessa concentrazione anche quando qualcun altro, da un altro riquadro, interviene chiedendogli un’ulteriore specifica. È un motore lanciato al massimo dei giri, un atleta che corre la sua corsa più veloce, un pianista che suona la sua composizione migliore. Si ferma solo quando, intercettata una pausa nel suo discorso, il presidente della commissione interviene con la consueta formula di chiusura: “Per me può bastare cosi!”.

Il viso di Matteo sembra allora decontrarsi, riacquistare mollezza e colore, e, deposto un lungo sospiro, si illumina di un sorriso di distensione.
È solo il sollievo di un momento, però. C’è ancora una parte di quell’inconsueta cerimonia che deve compiersi: quello scambio di poche parole, gesti, cenni del capo che precede la valutazione finale.

La commissione chiede a Matteo di attendere un momento e “si ritira” per decidere, in quello che altro non è che uno scambio di messaggi in chat, perché, diversamente, in quella circostanza non può essere.

Passa un minuto appena. Poi, all’unisono, tutti si alzano dalla rispettiva scrivania assumendo l’aria più solenne che quella curiosa modalità d’esser vicini consente.

E d’incanto, in quel momento tutto ricompare: l’aula magna, la lunga scrivania della commissione, il silenzio trattenuto degli spettatori. Matteo si alza a sua volta, protagonista indiscusso di quell’attimo che lui di certo, più d’ogni altro suo compagno di corso, non dimenticherà mai.

La voce decisa e potente del presidente legge la formula di rito, elegante, stentorea, nel suo finale reso ancora più grave e potente dalla magnificenza di un’antica lingua: “Per i poteri a me conferiti…”
Matteo sembra chinare appena il capo, nel gesto che un tempo fu quello dei cavalieri che ricevevano l’investitura….
“….io la proclamo dottore…..”
La schiena si raddrizza, percorsa da un brivido…
“….con la votazione di….”
Il viso trattiene a stento l’emozione, le labbra si ritraggono all’indietro, strette l’una contro l’altra.
“Per aspera ad astra. Ad majora semper”.

Mio figlio applaude. L’eco d’altre mani che fanno lo stesso giunge dal display del suo telefonino, connesso a quello degli altri amici perché sembri che siano davvero tutti lì, stretti attorno a Matteo, a condividerne la gioia e l’emozione, nonostante la distanza, nonostante l’assenza di consistenza dei loro corpi accostati solo in immagini ed impossibilitati a stringersi in un solo abbraccio.

Mai come in questo tempo quelle ultime parole risuonano forti nel loro senso più profondo: “per aspera ad astra”.

Ricordalo, Matteo.

Questo morbo che ogni giorno continua a privarci di qualcosa, nulla può contro le emozioni e la bellezza dei sentimenti veri.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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