Rimani aggiornato!
Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.
In caso di reati tributari commessi a vantaggio di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto nei confronti dell’amministratore soltanto quando, all'esito di una valutazione sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile, nei confronti di quest’ultima, il sequestro “diretto” del profitto del reato.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione (Sez. 3 Pen.) nella lunga sentenza n. 49199 depositata il 29 ottobre 2018.
In applicazione del principio, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza con cui, nell’ambito di un’indagine per il reato di omessa dichiarazione ex art. 5 D.Lgs. n. 74/00, il Tribunale del Riesame ha respinto l’istanza presentata da un imprenditore pugliese, volta all’annullamento del decreto di sequestro preventivo per equivalente disposto dal GIP sui suoi beni personali o comunque nella sua disponibilità, fino alla concorrenza di 257mila euro.
Il profitto del reato tributario s’identifica, dunque, con il vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione dell'illecito; conseguentemente, il mancato pagamento delle imposte (nella specie, per omessa dichiarazione) comporta un vantaggio economico derivante dal risparmio delle somme non versate all'Erario e, pertanto, nel caso d’illecito commesso da organi societari, il denaro eventualmente esistente nelle casse della società o investito in titoli (Cass. Sez. U, n. 31617 del 2015; Cass. pen. Sez. 6, n. 23773 2003) può e deve sequestrarsi in via diretta, ove possibile (sulla questione della confisca diretta del denaro si veda Sez. Un. n. 10561 del 2014).
Spiega, ancora, la Suprema Corte che, in tema di sequestro preventivo, la nozione di profitto funzionale alla confisca comprende non soltanto i beni appresi per effetto diretto e immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa (Cass. pen. Sez. 2, n. 45389 del 2008; (Cass. pen. Sez. 6, n. 4114 del 1994).
E perciò il ricorso dell’imprenditore è stato accolto dagli Ermellini, perché il sequestro è stato direttamente disposto nella forma “per equivalente” nei confronti del ricorrente, mentre occorreva un’analisi, in fatto, della possibilità concreta del sequestro “diretto” nei confronti della società dallo stesso rappresentata e amministrata.
La situazione, insomma, imponeva un accertamento preliminare in merito all’eventuale sussistenza nel patrimonio aziendale di beni direttamente riconducibili al profitto del reato fiscale. In assenza di tale accertamento, la Suprema Corte ha ritenuto di dover disporre l’annullamento dell’ordinanza impugnata senza rinvio e la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.