La Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 11322 del 10 maggio 2018 è intervenuta in materia di Privacy nei luoghi di lavoro per specificare che la registrazione di una conversazione intercorsa con soggetti “ignari” della operazione in corso costituisce una condotta che incide sulla privacy del soggetto sottoposto a registrazione ma diviene lecita ove sia preordinata a fare valere un proprio diritto in sede giudiziaria che non deve esser inteso in una finalità esclusivamente processuale.
Il caso di specie - Il caso sottoposto al vaglio della Corte riguardava un lavoratore di una azienda metalmeccanica abruzzese che nel corso di un procedimento disciplinare consegnava al responsabile del personale dell’azienda una pennetta usb contenente la registrazione di conversazioni effettuate all’insaputa dei colleghi durante l’orario di lavoro e sul posto di lavoro al fine di dimostrare l’infondatezza dell’addebito mosso dalla società. Dalla ricostruzione fattuale, emerge che le registrazioni erano state consegnate dal lavoratore ad un referente aziendale in sede di un colloquio per una precedente contestazione disciplinare, al fine di chiarire le sue ragioni. L’azienda aveva informato solo successivamente i colleghi – che nulla avevano sospettato prima – dell’accaduto. I fatti dimostrano che il lavoratore aveva adottato tutti gli accorgimenti necessari per preservare le registrazioni da qualsiasi forma di pubblica diffusione, utilizzandole con lo scopo unico di tutelare la propria posizione lavorativa.
A seguito di tale condotta, l’azienda instaurava un ulteriore procedimento disciplinare nel quale veniva addebitata la violazione della fiducia e della privacy dei colleghi registrati senza il loro consenso che si concludeva con il licenziamento del lavoratore.
Il Tribunale di Vasto investito dal lavoratore riteneva la legittimità del licenziamento, La Corte di Appello di L’Aquila riformava la sentenza ritenendo sproporzionato il licenziamento e condannava la società, ai sensi dell’art. 18, 5° co. Legge 20 maggio 1970 n. 300, al pagamento in favore del lavoratore di 15 mensilità.
La Corte di Cassazione veniva adita dal lavoratore il quale censurava la sentenza della corte territoriale per aver ritenuto comunque illegittima la condotta del ricorrente nonostante la stessa fosse giustificata dal diritto di difesa. La società, nel resistere all’impugnativa, formulava ricorso incidentale lamentando l’errata valutazione di sproporzionalità della condotta.
Il parere di legittimità - La Suprema Corte ha accolto il ricorso principale del lavoratore ritenendo che la registrazione di una conversazione intercorsa con soggetti “ignari” della operazione in corso costituisce certamente una condotta che incide sulla privacy del soggetto sottoposto a registrazione che configura, a seconda delle conseguenze, la fattispecie delittuosa del trattamento illecito di dati.
Il co. 1 lettera f) dell’art. 24 D.Lgs. 196/2003 stabilisce, in deroga al principio generale del consenso, che il trattamento dei dati personali, può essere eseguito anche in assenza di consenso degli interessati, se è finalizzato a far valere o difendere un diritto, esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al suo perseguimento. Nel caso di specie il diritto in gioco, è il diritto di difesa del lavoratore, che si antepone al consenso dei soggetti coinvolti nelle registrazioni.
La condotta, quindi, del dipendente che ha attuato adeguate cautele per non divulgare il contenuto delle registrazioni oltre la stretta finalità difensiva rende – ad avviso della Corte – non antigiuridica la condotta posta in essere.
N.B. Le registrazioni delle conversazioni sono da considerarsi una fonte di prova. Non procurandosele il lavoratore non avrebbe avuto altri strumenti per tutelare la propria posizione lavorativa, anche in ragione di un contesto difficile, caratterizzato da un conflitto con i colleghi “di rango più elevato” e precedenti contestazioni disciplinari a suo carico.
Il principio del consenso al trattamento dei dati personali da parte degli interessati viene dunque legittimamente compresso allo scopo di garantire un pieno dispiegamento del diritto alla difesa.
Valutazione post GDPR - Anche con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento europeo sul trattamento dei dati personali, la tutela dei diritti di riservatezza deve sottostare ad una logica di bilanciamento. In particolare nell’ambito dei rapporti di lavoro, lo stesso Regolamento, all’art. 88 prevede che gli Stati membri predispongano norme e dunque anche deroghe, più specifiche, tese alla protezione della dignità umana, degli interessi legittimi e dei diritti fondamentali degli interessati ai fini dell’esercizio e del godimento, individuale o collettivo, dei diritti e dei vantaggi connessi al lavoro.
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