2 gennaio 2018

Soci non tenuti a pagare l’avvocato

Autore: PAOLA MAURO
Il socio non può essere condannato, personalmente, al pagamento delle prestazioni rese dall’avvocato, se il mandato è stato conferito dalla sola società. È quanto emerge dalla sentenza n. 29590/17 della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione.

La controversia ha a oggetto un credito derivante dalle prestazioni – giudiziali e stragiudiziali - rese da un avvocato in favore di un’azienda agricola e dei suoi soci. La Corte d’Appello ha respinto, in parte, la domanda del legale; infatti la Corte territoriale ha escluso la responsabilità del socio convenuto in giudizio, per le attività per cui l’atto di conferimento dell’incarico è risultato a nome della sola società.

La Suprema Corte ha confermato il verdetto dei giudici di secondo grado.

La Corte d’Appello, confermando la decisione del Tribunale, ha rilevato il contenuto generico del documento oggetto di controversia, “che non individua alcuna controversia specifica: esso, pur facendo riferimento ad un ‘conferimento di incarico’, non è realmente idoneo a rilasciare alcun mandato al difensore, ma vale soltanto a fissare un accordo quadro generale, finalizzato all'individuazione dei criteri di computo dei compensi in relazione agli incarichi che sarebbero stati in futuro conferiti, con conseguente non configurabilità di una solidarietà passiva per le prestazioni in relazioni alle quali non risulta essere stato conferito un formale incarico”.

Per i Giudici di legittimità, l’interpretazione dell’atto negoziale in questione, fornita dalla Corte territoriale, è corretta in punto di diritto, posto che, in difetto di un conferimento di una procura alle liti per la rappresentanza e difesa in giudizio (che nella specie venne rilasciata soltanto dalla società), occorreva che vi fosse tra l’avvocato e il singolo socio (poi convenuto in giudizio) un contratto di patrocinio, con il quale il professionista fosse stato appunto incaricato, secondo lo schema negoziale proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale.

Secondo gli Ermellini, nel caso di specie la Corte d’Appello non si è discostata dal principio secondo cui “obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l'opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, ben potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell'interesse di un terzo, instaurandosi in tale ipotesi un altro e distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l'opera professionale (v., in questo senso, da ultimo, Cass., Sez. III, 30 settembre 2016, n. 19416)”.

Il ricorso del legale, in conclusione, è stato rigettato.
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