31 marzo 2018

Sponsorizzazioni oggettivamente inesistenti

Autore: Giovambattista Palumbo
L'esistenza di contratti di sponsorizzazione, di per sé, non è prova sufficiente a sostenere l'esistenza delle operazioni, tanto più laddove i contratti non risultino registrati.

Il caso - La Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza n. 462/2/18 del 05/03/2018, ha risolto un contenzioso in tema di sponsorizzazioni oggettivamente inesistenti.

Nel caso di specie una società e i relativi soci proponevano ricorso avverso l'avviso di accertamento scaturito dalle risultanze di una verifica fiscale della Guardia di Finanza nei confronti di una società sportiva.
Nel corso della verifica il rappresentante legale dichiarava infatti che, per far fronte alle difficoltà finanziarie, si era interessato alle sponsorizzazioni e chiariva, altresì, le modalità della prestazione, per cui la società che sponsorizzava emetteva un assegno che lo stesso rappresentante incassava in contanti presso la banca del cliente, vedendosi poi riconosciuta una quota del 10% dell'importo della fattura più l'Iva sul totale della fattura medesima.

In conseguenza di tali dichiarazioni l'Ufficio deduceva quindi che erano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto le somme ricevute per tali attività venivano in realtà retrocesse agli sponsor, tra cui risultava anche la società oggetto di accertamento, che, in quattro anni, aveva così dedotto costi di sponsorizzazione pari ad euro 540.000,00.

La CTP accoglieva i ricorsi riuniti, ritenendo non provata dall'Ufficio l'inesistenza delle operazioni a fronte del contratto di sponsorizzazione, rispetto a cui assumevano scarsa valenza le dichiarazioni sopra rappresentate.
Appellava quindi l'Ufficio richiamando innanzitutto la giurisprudenza di legittimità in materia di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, secondo cui, quando l'Amministrazione contesta indebite detrazioni Iva e deduzioni di costi, è onere del contribuente fornire la prova dell'effettiva esistenza delle operazioni.

Secondo l'Ufficio era del resto ovvio che, in tali casi, le parti tentassero di creare l'apparenza cartolare minima per "attestare" l'esistenza delle operazioni; e pertanto, il contratto non poteva essere considerato prova sufficiente, anche considerato il fatto che non era stato registrato (e quindi era anche privo di data certa) e la documentazione fotografica allegata non consentiva di individuare la stagione agonistica di riferimento.

L' Ufficio, infine, sottolineava anche come la sentenza di primo grado non avesse valutato la sproporzione dei costi rispetto all'attività asseritamente resa dalla società sportiva, tanto più che la società contribuente, che svolgeva attività di commercio all'ingrosso di zucchero, cioccolato e dolciumi, si avvaleva già anche di altra società per la promozione dei prodotti, sostenendo (ulteriori) costi per Euro 268.000,00 e che comunque la sponsorizzazione in esame si rivolgeva ad un pubblico (spettatori di partite di calcio dilettanti) diverso rispetto alla potenziale clientela della società.

La decisione - L'appello, secondo la CTR, era fondato.

Osserva infatti la Commissione che l'esistenza dei contratti di sponsorizzazione, di per sé, non era prova sufficiente a sostenere l'esistenza delle operazioni, tanto più che non risultavano registrati e consistevano in modelli ciclostilati.
Da quanto versato in atti dalla società, inoltre, nulla si rilevava con riferimento alla stagione agonistica in cui sarebbero intervenute le sponsorizzazioni. Tutti gli elementi indicati, anche al netto della evidente antieconomicità del contesto, non consentivano, del resto, di ritenere l'effettività della sponsorizzazione.
Vi erano quindi senz’altro indizi gravi, precisi e concordanti che inducevano a ritenere come inesistente l'operazione fatturata e quindi legittimo l'operato dell'Ufficio.

Conclusioni - Per concludere, vero è che l’Amministrazione, nel contestare i contratti di sponsorizzazione, deve visionare i contratti stessi, le foto e la documentazione inerente alle manifestazioni.
È importante del resto, in questi casi, redigere attentamente il contratto di sponsorship, nel quale andranno indicati tutti gli adempimenti cui è tenuta la società sportiva a fronte del corrispettivo che lo sponsor deve versare.

È importante inoltre anche lo specifico riferimento allo scopo che l'impresa erogante si prefigge con la concessione del contributo.
Come confermato anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5720 del 23.03.2016, le condizioni di deducibilità di tali tipi di spese coinvolgono soggetti, quali appunto le compagini sportive dilettantistiche, ritenuti dal legislatore meritevoli di peculiare tutela giuridica.

E l'amministrazione finanziaria, con la Circolare n. 21/E del 22 aprile 2003 (§8), chiarisce del resto che «La disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate - nel limite del predetto importo – comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante ai sensi dell'art. 74, comma 2, del TUIR nell'esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell'esercizio medesimo e nei quattro anni successivi».

La medesima Agenzia evidenzia però poi che (dato che in sostanza, al di là della qualificazione giuridica, tali spese devono esistere) «la fruizione dell'agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni:
  1. i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante;
  2. deve essere riscontrata, a fronte dell'erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima» (conf. risoluzione 23 giugno 2010, n. 57/E).

La presunzione assoluta non riguarda infatti la deducibilità tout court, ma la natura pubblicitaria delle spese, superando il dubbio se le spese di sponsorizzazione siano da assimilare a spese di pubblicità (integralmente deducibili) o di rappresentanza (solo parzialmente deducibili); dubbio appunto ormai risolto a favore della natura (oggi indiscussa) di spese di pubblicità.

Anche le spese di pubblicità devono però rispettare il principio di inerenza. E soprattutto devono essere effettive ed esistenti.
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