La Cassa a favore dei dottori commercialisti ha il potere di annullare periodi contributivi durante i quali la professione è stata svolta in situazioni di incompatibilità, ove detta situazione non sia stata rilevata dall’Ordine con conseguente cancellazione dall’albo. È quanto emerge dalla sentenza 13 novembre 2012, n. 25526, della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro.
L’incompatibilità. La Suprema Corte ha confermato la decisione delle Corte d'appello di Roma che ha dichiarato legittimo l'annullamento deciso dalla Cassa previdenziale dei dottori commercialisti di 15 anni di contributi nei confronti del ricorrente, per incompatibilità con l'esercizio della professione di dottore commercialista. Il professionista in questione, infatti, negli anni tra il 1983 e 1998 aveva anche rivestito la carica di socio amministratore di una società in accomandita semplice detenendo il 50 per cento dell’intero capitale sociale.
Gli Ermellini, dopo aver preso atto del contrasto giurisprudenziale sull'esistenza di un potere della Cassa di annullare periodi contributivi durante i quali la professione è stata svolta in condizione di incompatibilità, sebbene questa non sia stata accertata e sanzionata dal Consiglio dell'ordine competente, decidono di sposare l’orientamento più rigoroso, riconoscendo ampi poteri di controllo e di intervento all’ente di previdenza.
Ampi poteri alla Cassa. La Sezione Lavoro del Palazzaccio ricorda che in base all'articolo 20 della Legge n. 21 del 1986 la Cassa può esigere dagli iscritti “elementi rilevanti quanto all'iscrizione e alla contribuzione” e l’eventuale mancata collaborazione da parte dell’interessato importa sospensione del trattamento previdenziale; ciò vuol dire che l’ente di previdenza non deve limitarsi alla mera verifica formale dell’attuale iscrizione all’albo o del perdurare di essa nel periodo oggetto della prestazione erogabile. Infatti, non avrebbe alcun senso, argomenta la Corte, una norma che autorizza la Cassa a esigere dall'iscritto notizie e documenti unicamente sul fatto storico dell'esercizio della professione e non anche sulla sua legittimità, “ossia riconoscerle poteri autoritativi di natura oggettivamente amministrativa senza nel contempo pretendere che con essi si accerti che l'assicurato abbia maturato legittimamente il proprio credito pensionistico”.
Per i supremi giudici, insomma, la Cassa ha il potere di verificare periodicamente il legittimo esercizio della professione e non solo il dato formale dell'iscrizione all'albo, perché, osserva, non sembra sostenibile che dall’ampia nozione di “elementi rilevanti quanto all'iscrizione” debba essere proprio escluso quello di maggior spessore, vale a dire l’avere l’interessato mantenuto l'iscrizione alla Cassa legittimamente (ossia in assenza di cause di incompatibilità), a maggior ragione se si considera la funzione pubblicistica svolta dalla medesima pur dopo la sua trasformazione in ente di diritto privato.
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