La bozza di riforma del processo tributario elimina la possibilità di appellare le controversie al di sotto delle tremila euro. Anche questa è una novità che sembra farsi spazio nel progetto licenziato in questi giorni e che approderà presso le aule di discussione ministeriali al fine di essere approvata.
Così il testo: “La sentenza della Commissione provinciale pronunciata dal giudice monocratico di cui all’articolo 4-bis può essere appellata esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, nonché per violazione di norme costituzionali o di diritto dell’Unione europea, ovvero dei principi regolatori della materia”. L’appello tuttavia non è un diritto costituzionalmente positivizzato quindi la norma può ben prestarsi all’intento del legislatore nel voler deflazionare il contenzioso di secondo grado. Ma a che costo?
Riprendendo un vecchio arresto delle SSUU, ancora valido, “L'appello, in altre parole, «è dato alla parte contro l’ ingiustizia della sentenza di primo grado ed è rimessa alla stessa parte, per il principio dispositivo, la determinazione dei fatti nei quali l'ingiustizia si concreta, con la conseguenza della esigenza assoluta della motivazione, quale elemento inseparabile dalla postulazione dell'ingiustizia e con l'ulteriore conseguenza che, in difetto di tale motivazione del vizio denunciato, il giudice del gravame non può procedere alla revisio prioris instantiae» (Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2000, n. 16)”.
La scelta del nostro ordinamento è coerente nel porsi contro la visione dell’appello con ‘novum iudicium’ che vorrebbe la ripetizione pedissequa del primo grado. E qui vi è la garanzia per il cittadino. Cioè si viene a creare una sentenza di secondo grado frutto di una depurazione degli eventuali errori riportati da quelli del primo. Eppure agli occhi del riformatore le cause che vanno al di sotto della soglia di tremila euro potrebbero rappresentare un intralcio al fluido andamento della giustizia, ma che in molti casi conferiscono al cittadino medio un’ingiustizia da rimuovere.
Quindi è evidente che la ratio di questa scelta è puntata allo scoraggiamento dell’azione che, unitamente all’aumento del contributo unificato, forma una dissuasione nella ricerca dell’impugnazione.
Il testo di riforma non chiude definitivamente al gravame ma lo racchiude in alcune questioni, tutela inedita nel nostro panorama, ma che appare un compromesso tra l’impugnazione a critica vincolata e quella a critica libera su principi di rito e generali (costituzionali ed europei) che, come si sa, sono sempre in evoluzione e quindi opinabili e che potrebbero generare arbitrarie inammissibilità.
A questo punto il Legislatore, nella sua più ampia accezione terminologica, sarà chiamato a dover confermare o rivedere questa scelta sempre più simile al tentativo di eliminare la quantità di contenzioso pendente con il sacrificio della qualità dei giudizi.
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