23 dicembre 2020

Scelta del CCNL e agevolazioni contributive: l’onere della prova viene ribaltato in capo all’Inps

Autore: Giovanni Greco e Alessia Noviello
La recentissima sentenza emessa dal Giudice del lavoro di Catania (n. 4747 del 16 dicembre 2020) riaccende i riflettori sulla spinosa e dibattuta questione della corretta determinazione della retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali sulla scorta della previsione di cui all’art. 1 del d.l. n. 338/1989 conv. in l. n. 389/1989 e pone imparzialità nei confronti di quel meccanismo di scelta psicologicamente imposta nell’applicazione dei CCNL cd maggiormente rappresentativi in coincidenza all’applicazione delle agevolazioni contributive.

La scelta del contratto collettivo da applicare in azienda rappresenta, da sempre, un passaggio fondamentale al fine di definire gli aspetti economici e normativi dei rapporti di lavoro da instaurare coi dipendenti (profilo privatistico) e la base imponibile su cui calcolare i contributi sociali e i premi assicurativi (profilo pubblicistico).

Come noto, il trattamento economico da riconoscere ai lavoratori si concretizza attraverso la previsione dell’art. 36 Cost. (Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa) è il c.d. minimo costituzionale, che è rappresentato dall’insieme delle voci che compongono il trattamento minimo riconosciuto ai lavoratori classificati all’interno di ogni singolo livello o area professionale, con esclusione, viceversa, dei c.d. trattamenti accessori, dettati all’interno del contratto collettivo, che svolge la sua funzione di parametro nel limite della somma risultante dalla paga base, dall’indennità di contingenza cristallizzata nei trattamenti minimi e dalla tredicesima mensilità.

Meno arbitraria risulta, invece, la previsione contenuta all’art. 1 del d.l. 338/1989 che fissa il c.d. minimale contributivo stabilendo che “La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.

Su tale norma è successivamente intervenuto il legislatore con legge di interpretazione autentica (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2 comma 25), precisando che “L'articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria”.

In tal modo la contrattazione collettiva assume, dunque, un ruolo indirettamente previdenziale in quanto definisce, insieme alla retribuzione adeguata e sufficiente ex art. 36 della Costituzione, i limiti minimali di contribuzione e cioè il presupposto stesso per la realizzazione dell’obiettivo di adeguatezza delle prestazioni previdenziali ex art. 38 della stessa Carta.
Il tema della rappresentatività sindacale è sempre stato ampiamente dibattuto, l’applicazione dei contratti collettivi maggiormente rappresentativi rientrano nelle caratteristiche di fruizione di esoneri, incentivi e contratti flessibili, la loro individuazione però ha sempre rappresentato un problema, non essendoci ad oggi, parametri oggettivi per determinare e riconoscere le sigle sindacali annoverate nella lista dei maggiormente e comparativamente più rappresentativi.

Il 25 gennaio 2018, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) con la circolare n. 3, ha fornito indicazioni operative circa l’attività di vigilanza da porre in essere nei confronti delle aziende che non applicano i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale. Al fine di non porre le aziende in una situazione di rischio, già il 12 febbraio 2018, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con un approfondimento sul tema, dal titolo “Rappresentanza, CCNL e agevolazioni: dubbi irrisolti”, analizzò le criticità e chiese a gran voce di fare chiarezza sui requisiti utili a rendere un contratto collettivo comparativamente rappresentativo; “a causa della oggettiva incertezza normativa e della sostanziale mancanza di un sistema classificatorio certo”, spiegava la Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, “ogni intervento teso al diniego delle agevolazioni o della disciplina derogatoria, sarebbe foriero di contenzioso, dalla definizione peraltro complessa”.

In risposta, l’INL, con suo comunicato del 20 giugno 2018, si arrogava il diritto di stabilire, arbitrariamente e senza tracciarne i parametri, di individuare nelle sigle, CGIL, CISL e UIL, il titolo di OO.SS. maggiormente rappresentative, mentre di contro, confinava CISAL e CONFSAL e faceva un riferimento ad altre sigle non meritevoli neanche di essere individuate, a OO.SS. minoritarie.

Non tardarono ad arrivare le denunce nei confronti dell’Ispettorato da parte di Cisal e Confsal, direttamente chiamate in causa, a firma dei due segretari generali, Francesco Cavallaro e Angelo Raffaele Margiotta e la perplessità degli operatori del settore, tra cui i Consulenti del lavoro, con l’intento di rimarcare il principio della libertà sindacale e la facoltà per i datori di lavoro di applicare il contratto collettivo che meglio si adatta alla specifica realtà aziendale. Il cuore del problema resta la corretta e legittima fruizione dei benefici contributivi e l’accesso alle forme contrattuali cosiddette flessibili, possibili solo a condizione di applicare i CCNL leader del settore.

La nota pubblicata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, diffusa quel 20 giugno 2018, fu ben presto cancellata dal sito istituzionale.

Pur tuttavia le ricadute sul versante ispettivo possono essere dunque di impatto notevole; infatti, qualora venga accertata da parte degli organi di vigilanza l’applicazione di un contratto collettivo non rispondente alla categoria in esame e non sottoscritto dalle OO.SS. cd leader, il personale ispettivo potrà adottare i relativi provvedimenti di recupero dei contributi non versati con l’aggiunta, ovviamente, delle sanzioni civili previste dall’art. 116, c. 8, legge n. 388/2000. Per quanto riguarda il profilo retributivo si rammenta che il Ministero del lavoro (cfr. lett. circ. n. 7068/2015), nel portare a conoscenza dei propri uffici periferici la sentenza della Corte costituzionale n. 51/2015 , ha ribadito che - in caso di accertata applicazione da parte delle società cooperative di un diverso Ccnl rispetto a quello stipulato fra le Organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale della categoria - il personale ispettivo deve procedere al recupero anche delle differenze retributive, mediante l’adozione del provvedimento di diffida accertativa per crediti patrimoniali prevista dall’art. 12, D. Lgs. 23 aprile 2004 n. 124.

Un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, al fine di determinare il grado di rappresentatività, in termini comparativi, delle Organizzazioni sindacali e datoriali stipulanti i contratti collettivi, il Ministero del lavoro, per mezzo della nota n. 10310 del 1° giugno 2012, ha fatto presente che occorre far riferimento:
  • al numero complessivo delle imprese associate;
  • al numero complessivo dei lavoratori occupati;
  • alla diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio ed ambiti settoriali);
  • al numero dei Contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti;
  • al numero di verbali di revisione effettuate dal Ministero dello sviluppo economico (in questo caso limitatamente alle società cooperative).

Come detto, anche il godimento dei benefici contributivi e normativi è riservato ai datori di lavoro che applicano e rispettano gli accordi stipulati dalle Organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Ne consegue che il personale ispettivo procederà, a far data dal momento in cui è stato disatteso quest’obbligo, al recupero di eventuali benefici indebitamente goduti da parte di quei datori di lavoro che applicano un contratto collettivo (anche di secondo livello) sottoscritto da soggetti privi del necessario requisito.

La sentenza n. 4747 del 16/12/2020 emessa dal Giudice del lavoro di Catania offre importanti strumenti di difesa e legittima l’operato di quei datori di lavoro che hanno scelto di applicare CCNL alternativi a quelli c.d. leader, determinando il quantum contributivo sui minimi tabellari previsti dagli stessi.

La vicenda de qua riguarda un accertamento ispettivo da parte dell’INPS conclusosi con il recupero di contribuzione omessa e agevolazioni contributive ex art. 8, c. 9, L. n. 407/1990, atteso che il CCNL utilizzato dalla società ricorrente (CCNL COOPERATIVE SOCIALI UNCI/CONFSAL) non poteva essere adottato, a dire degli ispettori, ai fini del calcolo dei minimi retributivi previsti dall’art. 1 del D.L. n. 338/1989, convertito nella L. n. 389/1989, non essendo stato sottoscritto dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.

Il Giudice etneo risolve la questione affermando che “ai fini dell'applicazione dell'art. 1, comma 1, d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, spetta all'Inps dimostrare la maggiore rappresentatività su base nazionale delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo, sulle cui retribuzioni l'Ente pretende di commisurare i contributi previdenziali, non essendo la maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali o datoriali un fatto notorio ex art. 115 c.p.c., e trattandosi, tra l'altro, di un dato che può anche variare nel corso del tempo (Tribunale Pavia, 26/02/2019, n.80)”.

Ergo, conclude il giudicante, la ricorrente ha diritto ad utilizzare quale imponibile contributivo minimo ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 338/1989 i livelli retributivi fissati dal CCNL COOP SOCIALI sottoscritto da UNCI e CONFSAL.

Il Giudice etneo censura l’operato dell’INPS anche in riferimento al recupero delle agevolazioni contributive per violazione dell’art. 1, comma 1175, Legge n. 296/2006 rilevando che “le contestazioni mosse dall’INPS con il verbale di accertamento impugnato appaiono dunque prive di allegazioni e prove, di talché deve ritenersi priva di presupposto anche la caducazione dei benefici contributivi, per i lavoratori assunti con le agevolazioni di cui all’art. 8, comma 9, Legge n. 407 del 29.12.1990”.

La statuizione della succitata sentenza emessa dal Giudice del lavoro, ribaltando in capo all’INPS l’onere della prova, supera a piè pari il complesso meccanismo di comparazione tra CCNL ribadito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro anche con la circolare n. 2 del 28/07/2020.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy