24 aprile 2019

Tassazione degli immobili di interesse storico artistico

Autore: Giovambattista Palumbo
In tema d'imposte sui redditi, i canoni prodotti dalla locazione d'immobili riconosciuti di interesse storico o artistico che siano oggetto dell'attività dell'impresa, rappresentano ricavi che concorrono alla determinazione del reddito di impresa, senza che sia applicabile l'art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, il quale, nello stabilire che il reddito degli immobili in questione è determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato, si riferisce al solo reddito fondiario.

Il caso
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 8519 del 27/03/2019, ha chiarito il trattamento impositivo in caso di immobili di interesse storico-artistico.

Nel caso di specie, la controversia nasceva dall'impugnazione del silenzio rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria all'istanza di rimborso Ires presentata, per l'anno di imposta 2004, da una società consolidante e dalla consolidata, con riferimento al reddito derivante dalla locazione di 17 immobili di interesse storico-artistico, di proprietà della società consolidata, per errata determinazione dell'imponibile, effettuata sulla base dei canoni di locazione percepiti e non sulla base dell'agevolazione prevista dall'art. 11, comma 2, L. n. 413 del 1991.

La successiva incorporante proponeva, quindi, ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza e l'impugnazione veniva accolta sia in primo che in secondo grado.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, infine, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, denunciando, per quanto di interesse, violazione e falsa applicazione dell'art. 11, comma, 2 della legge n. 413 del 30/12/1991, in relazione agli artt. 72, 81, 90, 43 del DPR n. 917 del 22/12/1986, deducendo che l'articolo 11 cit., contrariamente a quanto affermato dalla CTR, poteva trovare applicazione esclusivamente nel caso di immobili cosiddetti patrimoniali e non anche relativamente ad immobili che rappresentassero, invece, beni merce o strumentali per l'esercizio dell'impresa.

Deduceva, inoltre, l’Amministrazione finanziaria, che l'espressione "in ogni caso", utilizzata dalla norma agevolativa del 1991, intendeva riferirsi a tutte e sole le ipotesi in cui il reddito del fabbricato dovesse essere determinato sulla base della rendita catastale e non quando gli immobili d'interesse storico-artistico risultassero locati e richiamava a tal proposito le sentenze della Corte di Cassazione nn. 14419 del 2009 e 4251 del 2007, pronunciate in senso difforme all'altro orientamento indicato dalla CTR (Cass., sentenza 09/03/2011 n. 5519).

La decisione
Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato.

Evidenziano, infatti, i giudici di legittimità, che la regola agevolativa in esame è inapplicabile quando l'immobile costituisca oggetto d'impresa, dovendosi dare seguito all'orientamento della Cassazione, secondo cui, in tema d'imposte sui redditi, i canoni prodotti dalla locazione d'immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'art. 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, che siano oggetto dell'attività dell'impresa, rappresentano ricavi che concorrono alla determinazione del reddito di impresa, secondo le norme che lo disciplinano, senza che sia applicabile l'art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, il quale, nello stabilire che il reddito degli immobili in questione è determinato "mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato", si riferisce al solo reddito fondiario e si giustifica nei costi di manutenzione degli immobili vincolati, superiori a quelli normalmente richiesti per altre tipologie di immobili; giustificazione, quest'ultima, che non avrebbe senso rispetto ai redditi di impresa, determinati sulla base dei ricavi conseguiti in contrapposizione ai correlativi costi, che, invece, sono indeducibili rispetto ai redditi fondiari (cfr. Cass., n.7542 del 31/03/2011; Cass., n. 26343 del 16/12/2009; Cass., n. 29573 del 17/10/2018).

Tale interpretazione della norma agevolativa, conclude la Corte, è l'unica coerente con le regole dettate in materia di tassazione diretta e d'imposta sulle società, che distinguono il regime impositivo in base alla tipologia del reddito che produce l'immobile, laddove, rispetto ad uno stesso immobile, possono determinarsi redditi diversi a seconda che esso sia strumentale all'attività di impresa o invece costituisca oggetto della impresa stessa, o se detto immobile non sia ascrivibile a tali categorie, caso, quest'ultimo, in cui il reddito è determinato alla stregua dei redditi fondiari.

L'articolo 57 e l'articolo 90 del TUIR, sottolinea ancora la Corte, dispongono peraltro espressamente che i redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa, né costituiscono beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività di impresa, concorrono a formare il reddito nell'ammontare determinato secondo le disposizioni del capo II, del titolo I, concernente la modalità di determinazione dei redditi fondiari; e viceversa, i redditi di impresa sono disciplinati nel capo VI, del medesimo testo unico.
I beni immobili in proprietà del soggetto passivo dell'imposta sulle società determinano, quindi, una diversa tassazione a seconda che siano beni immobili "strumentali" all'attività della società o beni immobili "patrimoniali", senza alcun prevalenza, ai fini delle imposte societarie, del vincolo che qualifichi l'immobile "storico o artistico".

Infine, rileva la Corte per completezza, le argomentazioni contenute nella pronuncia delle Sezioni Unite, n. 5519 del 2011, richiamata nella sentenza impugnata, riguardavano la diversa imposizione ICI, rispondendo alla diversa ratio dei redditi fondiari e non a quella in tema di redditi di impresa.

Osservazioni
Si ricorda, peraltro, che la disciplina e il regime fiscale dettato per gli immobili di interesse storico artistico dall’art. 11, comma 2, della L. n. 413/91 sono stati poi modificati profondamente, e in senso deteriore per il contribuente, dal Dl. n. 16 del 2012, che al comma 5-sexies, lettera a), ha stabilito che, ai fini del calcolo del reddito imponibile degli immobili di interesse storico o artistico, il canone di locazione da prendere in considerazione subisce una riduzione forfettaria del trentacinque per cento a fronte di quella ordinaria del cinque per cento.

L’art. 4 del DL n. 16 del 2012, come integrato in sede di conversione, ha quindi ridisegnato il peculiare regime fiscale degli immobili vincolati e, abrogando l’art. 11, comma 2, del D.lgs. n. 413 del 1991, ha eliminato la possibilità di determinare il reddito imponibile secondo il criterio della rendita figurativa e ha al contempo statuito, sempre con riferimento agli immobili di interesse storico o artistico non posseduti in regime di impresa e locati, che il reddito imponibile ai fini IRPEF fosse rappresentato dal maggiore fra il canone di locazione ridotto del trentacinque per cento e la rendita catastale rivalutata del cinque per cento, calcolata applicando la tariffa d’estimo propria dell’immobile, ridotta della metà (secondo le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione del 31 dicembre 2012, n. 114/E).

Tali previsioni, che si applicano a decorrere dal periodo d’imposta 2012, hanno dunque sostituito il regime fiscale speciale antecedentemente stabilito per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico con uno meramente agevolato, ridimensionando il beneficio accordato.

Il “nuovo” trattamento degli immobili di interesse storico o artistico in regime d’impresa può dunque essere riassunto nei termini che seguono: occorre distinguere tra immobili “patrimonio” non locati (il reddito medio ordinario di cui all’art. 37, comma 1, del TUIR è ridotto del 50% e non si applica comunque la maggiorazione prevista dall’art. 41 del TUIR) e locati (il reddito fondiario è dato dal maggiore fra il canone di locazione ridotto del 35% e la rendita catastale rivalutata del 5% ottenuta applicando la tariffa d’estimo propria dell’immobile), mentre per gli immobili “strumentali o merce”, resta ferma la regola generale della non applicabilità del criterio catastale, sostituito dal principio generale di derivazione dai dati di bilancio.
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