17 dicembre 2022

Alzare argini per proporre soluzioni

Autore: Paolo Iaccarino
Se c’è una cosa non ammessa per la martoriata categoria dei commercialisti, bene, è quella di abbassare la guardia. Sia sul fronte amministrativo, nel difficile rapporto con l’Amministrazione Finanziaria, che su quello legislativo, l’apporto di conoscenze della categoria è fondamentale, spesso dirimente, certamente utile per evitare l’evitabile. A volte per alzare argini, altre volte per proporre soluzioni.

Dal primo punto di vista non si può restare inerti quando l’Amministrazione Finanziaria espone, e si espone, in considerazioni inesatte, lontane anni luce dalla realtà. Pescando nelle centinaia di risposte agli interpelli, soprattutto fra quelle che non trovano pubblicazione nell’apposita sezione trasparenza e pubblicità presente sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Entrate, le sorprese non mancano. Si prenda il caso di una recente risposta della Direzione Regionale Lombardia con la quale l’Amministrazione Finanziaria ha affermato, al tempo stesso, l’ovvio e l’impossibile. Da un lato, ma era questione nota, secondo l’Agenzia delle Entrate la spesa sostenuta a fronte dell’onorario professionale per l’apposizione del visto di conformità deve essere computata nella verifica dei massimali previsti per ogni categoria di intervento agevolato e, di conseguenza, ripartita su ciascuno di essi; dall’altro, in un esercizio di pura fantasia, secondo l’Erario lo stesso onorario deve essere oggetto di asseverazione di congruità, in quanto spesa che conferisce il diritto alla detrazione.

È un’atteggiamento odioso, potendosi contare sulle dita di una mano le occasioni in cui il Fisco si è ravveduto pubblicamente (Dividendi docet!). Una affermazione che svela una profonda ignoranza. La spesa per l’apposizione del visto di conformità non è una spesa sostenuta per la realizzazione dell’intervento, né un costo strettamente collegato alla realizzazione del medesimo, elementi che le conferirebbero ad origine il beneficio della detrazione, ma una spesa conseguente all’intervento, eventuale, il cui sostenimento è previsto solo in determinati casi. A rigor di verità, la predetta spesa è detraibile perché furono necessarie due norme a prevederne espressamente il riconoscimento (art. 119, comma 15, e art. 121, comma 1-ter, del DL n. 34 del 2020), norme che non richiamano, nemmeno indirettamente, la necessità di alcuna asseverazione. E poi, qui la domanda è lecita, sulla base di quale parametro di confronto l’asseverazione dovrebbe essere rilasciata? Attendiamo risposta.

Sempre in tema di cessione del credito, ma passando alle proposte, queste sono ore in cui le forze politiche sono alla ricerca della soluzione che favorisca lo sblocco del mercato. A fare notizia, in particolare, è stato l’emendamento che tende a estendere la garanzia dello Stato ai finanziamenti erogati a favore delle società di costruzioni rimaste invischiate, al fine di sopperire le correnti esigenze di liquidità. A questo punto, a parità di saldi per il bilancio dello Stato, perché non fare di più e non prendere spunto da una soluzione spesso utilizzata nell’ambito delle calamità naturali? Da ultimo con il tragico Sisma Centro-Italia, al fine di favorire la ricostruzione, il Legislatore ha previsto la possibilità che gli istituti di credito possano erogare un finanziamento di scopo, con garanzia dello Stato, il cui rimborso è assicurato dal riconoscimento di un corrispondente credito d’imposta commisurato, per ciascuna scadenza di rimborso del finanziamento, all’importo ottenuto sommando alla sorte capitale gli interessi dovuti, nonché le spese strettamente necessarie alla gestione dei medesimi finanziamenti.

Perché non fare la stessa cosa anche oggi? A differenza dell’esempio richiamato, che richiede la predisposizione di un apposito capitolo di spesa, con i crediti d’imposta bloccati sui cassetti fiscali l’operazione sarebbe a saldo zero. A fronte dell’erogazione del finanziamento basterebbe consentire il trasferimento alla banca del credito d’imposta già presente sul cassetto fiscale dell’azienda, in compensazione delle somme dovute dal beneficiario in ragione del finanziamento agevolato. A guadagnarci sarebbero in tre. La banca, in termini di interessi sul finanziamento erogato; l’azienda, in termini di liquidità e stabilità; lo Stato, che potrebbe voltare questa triste pagina.
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