4 dicembre 2021

Nella tempesta senza ombrello

Autore: Paolo Iaccarino
Piovono polpette avvelenate. Sono le cartelle di pagamento e gli avvisi bonari che, riaperti i cancelli della riscossione, si sono riversati su migliaia di professionisti e contribuenti. L’effetto collaterale dell’articolo 68 del DL Cura Italia e dell’articolo 157 del DL Rilancio. Due vere condanne in un periodo di ripresa dell’attività esecutiva.

L’attività di notifica di nuove cartelle di pagamento è rimasta congelata per un lunghissimo periodo, dall’8 marzo 2020 al 31 agosto 2021. Un arco temporale all’interno del quale si sono accumulate questioni attribuibili a diversi annualità, in ogni aspetto riconducibile allo scibile tributario. Le attività esecutive, come se nulla fosse successo, sono ripartite tutte insieme il 1° settembre 2021.

Lo stesso è accaduto per gli avvisi bonari. Dal termine iniziale del periodo di sospensione sono stati momentaneamente archiviati tutti gli atti, le comunicazioni e gli inviti elaborati ed emessi entro il 31 dicembre 2020. Si tratta di un esercito di comunicazioni di irregolarità emesse ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché in applicazione dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Atti che potranno essere notificati entro il 28 febbraio 2022, in ordine sparso, senza alcun criterio.

Una tempesta di notifiche di fronte alla quale nessun ombrello può resistere, soprattutto non quello fornito dalla normativa di settore. A fronte dell’adeguamento dei termini di decadenza e di prescrizione, rideterminati in ragione della lunga sospensione, il Legislatore rilascia misure inadeguate, parziali, insufficienti per fronteggiare efficacemente il problema. A fronte di ogni singolo atto notificato al contribuente, infatti, c’è un professionista del settore tributario, tanto bistrattato, anche all’interno della sua stessa categoria, che deve esercitare un’attività di base che, per quanto banale, si estrinseca nella verifica della regolarità e legittimità di ogni singolo atto ricevuto. Un’attività, come tutte, che richiede serenità e tempo da potervi dedicare.

Non bastano centottanta giorni per risolvere il problema. Quelli che probabilmente concederà la politica per calmierare le ansie di chi, dall’oggi al domani, è stato travolto da un lavoro lungo ben diciotto mesi. Tale misura, inizialmente prevista dal DL Fiscale per soli centocinquanta giorni, dimentica gli avvisi bonari, il primo fronte dell’attività della riscossione. Notificati sulla base di procedure automatiche, sono spesso conseguenza di errori formali che non incidono sull’imposta, spesso infondati, che necessitano di correzione. In questo, nonostante la loro pervasività, i giorni sono rimasti trenta, i soliti trenta giorni concessi in tempo di pace.

Il lettore si domanderà, perché polpette avvelenate? La risposta è fin troppo semplice per chi abbia vissuto almeno un giorno, all’interno di uno studio commerciale. L’attività di correzione che viene demandata agli operatori del settore tributario mediante l’utilizzo del canale telematico Civis si scontra con una realtà kafkiana. Troppo spesso questioni prettamente cartolari, che ben si sarebbero potute risolvere con un “click”, vengono rimandate al mittente senza una reale motivazione. Frequentemente la questione viene giustificata da un’insufficienza documentale, attribuendo la responsabilità a una indefinita carenza di informazioni, benché sufficienti alla risoluzione del problema. Il tutto nel più totale anonimato, non potendo il contribuente conoscere la matricola di chi, in barba al proprio ruolo, può permettersi di rinunciare a giocare quando il gioco si fa duro.
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