9 agosto 2022

Accertamenti presuntivi e giudicato

Autore: Giovambattista Palumbo
La sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità.

Il caso - La Corte di cassazione, con l’Ordinanza n. 21947 dell’11 luglio 2022, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di accertamenti presuntivi.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate, a seguito di verifica nei confronti di una società esercente attività alberghiera, emetteva un avviso di accertamento per Iva, Ires e Irap per il 2006, con cui, in relazione alle formule di alloggio praticate e alla ripartizione dei periodi di alta e bassa stagione, come rilevati dalle ricevute fiscali acquisite, procedeva, al netto delle cd. presenze intermediate (ossia, quelle derivanti da convenzioni con tour operator e agenzie di viaggio), alla ricostruzione dei ricavi d’impresa, accertando maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati, che riprendeva a tassazione.

Il ricorso della contribuente avverso l’avviso veniva parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale, la quale riduceva l’ammontare dei maggiori ricavi.

La sentenza era poi confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale.

Il ricorso in Cassazione - La società ricorreva infine per cassazione, denunciando, tra le altre, per quanto di interesse, omessa pronuncia in ordine alla asserita insussistenza dei requisiti di cui all’art. 39, primo comma, lett. d), Dpr. n. 600 del 1973, attesa la presenza di una contabilità analitica e puntuale e la carenza di presunzioni, gravi precise e concordanti.

Con un secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva poi la violazione dell’art. 39, primo comma, lett. d), Dpr. n. 600 del 1973 posto che la contabilità era regolare e non sussistevano elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, avendo l’Ufficio svolto un accertamento induttivo puro basato “su medie e percentuali del tutto ipotetiche”.

Con altra censura la società denunciava poi la violazione dell’art. 2909 c.c. con riguardo al giudicato, favorevole, formatosi con riguardo alla ripresa per l’anno 2007.

Infine la società richiamava le affermazioni rese in sede di accertamento con adesione (poi non perfezionatasi), ritenendo che rilevassero come prova o come riconoscimento dei fatti da parte dell’Amministrazione finanziaria.

La decisione - Secondo la Suprema Corte i primi due motivi di ricorso, che potevano essere esaminati unitariamente per ragioni di connessione logica, erano inammissibili.

Premette la Cassazione che la Commissione Tributaria Regionale aveva richiamato, e fatto proprie, le motivazioni rese dai giudici di primo grado, evidenziando che «le stesse presentano motivi in fatto e diritto che legittimano, ampiamente, le conclusioni volute dai primi giudici», accompagnando comunque detto rinvio con un autonomo e specifico apprezzamento, avendo il giudice d’appello rilevato che «gli stessi facendo riferimento ai rispettivi calcoli prodotti dalle parti, chiariscono in maniera definitiva le singole tipologie oggetto di contestazione ivi tenuto conto della suddivisione della stagione alberghiera e delle relative presenze in base ai servizi resi, e giungono a delle conclusioni che parte appellante non riesce a contestare anche perché effettuate sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente».

Le censure, pertanto, erano inammissibili, emergendo comunque, in ogni caso, dalla decisione che il giudice di merito aveva rilevato incongruenze tra le comunicazioni ufficiali rese all’ente provinciale e i prezzi praticati, non rispondenti alle tariffe previste.

Anche l’altra censura sollevata, secondo la Corte, era infondata.

L’invocata decisione ormai definitiva, infatti, secondo la Cassazione, era inidonea a produrre gli effetti di giudicato, riguardando una diversa annualità d’imposta e non anche il “medesimo rapporto giuridico”.

La ripresa in contestazione, infatti, era strettamente ancorata alle attività realizzate nelle singole annualità – prezzi praticati, clientela, ripartizione del periodo in diverse stagionalità -, come tali prive del carattere “di esecuzione prolungata”, né riferite a fatti ad “efficacia permanente o pluriannuale”.

A tal proposito la Corte richiama anche Cass. n. 38950 del 07 dicembre 2021, che ha precisato che «la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità».

Infine, quanto alle affermazioni rese in sede di accertamento con adesione – deduzione comunque carente per autosufficienza –la Suprema Corte rileva che andava escluso che esse rilevassero come prova o come riconoscimento dei fatti, rientrando le stesse “nell’alveo delle attività dirette a comporre le rispettive posizioni in via anticipatoria rispetto all’instaurazione della lite”.
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