In tema di compensazione dei crediti d’imposta, la mancata apposizione del visto di conformità, atteso che non pregiudica l’azione d’accertamento e non incide neppure sulla base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo, non autorizza l’Ufficio a emettere l’atto di recupero e l’irrogazione della sanzione di cui all’
art. 13 del D.lgs. n. 471 del 1997.
È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza n. 25736/2022 della Corte di Cassazione (Sez. VI-5), depositata il 1° settembre.
Un errore del software - La Corte di legittimità ha annullato la sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania ha confermato la sanzione irrogata dall’Agenzia delle Entrate alla Società contribuente, ai sensi dell’art. 13 del D.lgs. n. 471 del 1997, per indebita compensazione di crediti IVA senza dichiarazione di conformità.
Nonostante la Società in questione abbia giustificato la violazione dell’adempimento spiegando che il codice fiscale del professionista non era stato indicato per una anomalia del software, la C.T.R. ha comunque ritenuto integrata una violazione sostanziale e, quindi, legittimo sia il recupero IVA sia l’irrogazione della sanzione per omesso versamento.
Ebbene, gli Ermellini sono stati di tutt’altro avviso.
Principi di diritto - I Massimi giudici hanno evidenziato che una violazione può dirsi
meramente formale alla presenza di due presupposti, ossia la violazione accertata (1) non deve comportare un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e (2) non deve incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo.
Ciò posto, nel caso in esame il Supremo Collegio ha rilevato la contemporanea presenza di questi due presupposti e, pertanto, ha accolto il ricorso del contribuente, annullando la sentenza di secondo grado pro-fisco senza rinvio.
Infatti – si spiega nell’ordinanza in commento –, la funzione del visto di conformità richiesto per poter operare la compensazione dei crediti d’imposta è quella di assicurare un controllo anticipato dell’esistenza e spettanza del credito compensabile mediante l’attribuzione della relativa verifica a un professionista abilitato.
L’inosservanza di tale adempimento è tuttavia inidonea a pregiudicare l’esercizio delle attività di controllo e di verifica della sussistenza del credito da parte dell’Ente accertatore, ed è altresì inidonea a incidere negativamente sia sulla base imponibile dell’imposta sia sul versamento del tributo, posto che,
«una volta accertata sul piano sostanziale l’esistenza del credito IVA e il conseguente diritto del contribuente di portarlo in compensazione, la mancata apposizione del visto si risolve in un’infrazione puramente formale che non determina il venir meno di tale diritto».
Ne deriva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente Agenzia, - si riporta testualmente -
«la compensazione dei crediti in violazione dell’obbligo dell’apposizione del visto non configura, sotto il profilo sanzionatorio, una violazione di omesso versamento».
Accolto il ricorso originario - In conclusione, considerato che la decisione della C.T.R. si è posta in contrasto con i suddetti principi, gli Ermellini ne hanno disposto l’annullamento e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa è stata decisa nel merito, con accoglimento del ricorso originario del contribuente avverso l’atto di recupero IVA e di irrogazione della sanzione.
Quanto alle spese relative all’ultimo grado di giudizio, i Massimi giudici le hanno poste a carico della soccombente Agenzia delle Entrate.