4 ottobre 2022

Contabilizzazione delle plusvalenze derivanti dal contratto di sale and lease back

Autore: Paola Mauro
La Corte di Cassazione (Sez. V ord. n. 20327/2022) ha affermato che, in tema di determinazione del reddito d'impresa, le plusvalenze derivanti dalla cessione di un bene in forza di contratto di sale and lease back vanno contabilizzate ripartendo la somma finanziata in funzione della durata del contratto di locazione finanziaria, in applicazione del principio contabile IAS 17.

Il caso - L’Agenzia delle Entrate ha rettificato il reddito della società contribuente, per il 2010, sul presupposto che la plusvalenza derivante dal contratto di sale and lease back dell’immobile sociale dovesse essere ripartita nell’arco di cinque anni, come previsto dall’art. 86, comma 4, T.U.I.R., in tema di tassazione delle plusvalenze da cessione a titolo oneroso di beni immobili, anziché di quindici anni, pari alla durata della locazione finanziaria, secondo la disciplina dell’art. 2425-bis, cod. civ.

Ebbene, l’operato dell’Ufficio finanziario è stato annullato dai Giudici tributari di merito (nella specie, la C.T.P. di Benevento, in accoglimento del ricorso introduttivo, e la C.T.R. della Campania, che ha respinto l’appello presentato dalla Difesa erariale), il che ha dato origine al giudizio di legittimità, che si è chiuso con l’emissione di una sentenza nuovamente favorevole alla parte contribuente.

Il principio di diritto - La C.T.R. della Campania ha sostenuto che la plusvalenza generata dall’operazione di sale and lease back è ripartita in funzione della durata della locazione finanziaria, simmetricamente al criterio di iscrizione del medesimo componente positivo di reddito sancito dall’art. 2425-bis, quarto comma, cod. civ..

A sostegno di tale tesi - osteggiata dall’Agenzia delle Entrate – la Commissione d’appello ha richiamato la giurisprudenza sia di merito che di legittimità, nonché i documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria, come la Risoluzione n. 77/E/2017, la quale precisa che l’art. 83, T.U.I.R., novellato dall’art. 13-bis del D.L. 30 dicembre 2016, n. 244 (e quindi applicabile, per la C.T.R., per le annualità successive al 2016), estende ai soggetti che redigono il bilancio secondo il codice civile le nuove modalità di rappresentazione contabile e di determinazione del reddito imponibile previste per i soggetti IAS/IFRS adopter, ragione per cui la medesima imputazione temporale prevista per l’operazione di sale and lease back in àmbito civilistico assume rilevanza anche ai fini fiscali.

Con l’ordinanza in esame, i giudici del “Palazzaccio” hanno confermato la conformità della statuizione della sentenza di seconde cure ai più recenti approdi giurisprudenziali sul tema della rilevazione contabile del contratto di leasing finanziario (Cass. 15/07/2020, n. 15024; Cass. 22/06/2021, n. 17710, in materia di IVA; Cass. 27/04/2021, n. 11053, e la giurisprudenza di legittimità ivi menzionata).

Pertanto gli Ermellini, nel motivare il rigetto del ricorso erariale, hanno enunciato il seguente principio di diritto:
  • «Le modalità di contabilizzazione delle plusvalenze derivanti dal contratto di sale and lease back sono stabilite dal principio contabile IAS 17 (International Accounting Standards), in vigore dal 1° gennaio 2005. Gli IAS sono ispirati al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma (cfr. d.m. 1° aprile 2009, n. 48, art. 2, comma 2) e fatti propri dal regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio (relativo all’applicazione di princìpi contabili internazionali), del 19 luglio 2002, richiamato, a sua volta, dall’art. 83, t.u.i.r., ai fini della determinazione del reddito complessivo imponibile. Sebbene questi princìpi contabili non si applichino ai soggetti che non se ne avvalgono per la redazione del bilancio (cd. soggetti non IAS adopters), non vi è ragione per discostarsi dai detti canoni generali, non espressamente derogati dalla legislazione tributaria, e, anzi, tradotti in una puntale norma di legge aderente alla sostanza del negozio (art. 2425-bis, quarto comma, cod. civ.)».
La Suprema Corte non ha posto le spese di lite a carico della parte soccombente perché la contribuente non si è costituita nel giudizio di legittimità.
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