La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13095/2022 (dep. 14/06/2022), si è pronunciata in tema di concorso del consulente fiscale negli illeciti tributari, con particolare riguardo alla nozione di “professionista” ai fini dell’aggravante prevista dall’art. 13-bis del D.lgs. n. 74 del 2000.
In base al terzo comma della suddetta disposizione di legge, le pene stabilite per i delitti di cui al Titolo II del cit. D.lgs. n. 74/00 «sono aumentatedella metà se il reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale».
Ebbene, con la pronuncia in commento, gli Ermellini hanno affermato che il dato normativo, per la configurabilità dell'aggravante, non si limita a richiedere che il fatto di reato sia commesso «nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale», ma esige anche che questa sia «svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario».
Ciò comporta che la nozione di «professionista» è impiegata in termini generali senza evocare una particolare professione, e quindi può essere riferita a qualunque attività professionale che legittimamente si occupi di consulenza fiscale.
In assenza di richiami specifici la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, ritenuto doveroso attribuire un significato sostanziale alla nozione più generale di professionista, «ricomprendendovi cioè chiunque svolga attività di consulenza fiscale nell'esercizio della sua professione (dunque commercialisti, avvocati, consulenti e così via)» (così Cass. Sez. III pen. n. 36212/2019; più di recente, Cass. Sez. II pen. n. 47436/2021).
La vicenda all’esame della S.C. - L’occasione per ribadire il suddetto orientamento interpretativo è sorta nell’ambito di un procedimento per il reato di frode fiscale a carico di un commercialista nei cui confronti è stato emesso un decreto di sequestro preventivo d’urgenza da parte del P.M., poi confermato dal GIP.
Esattamente, a seguito di accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza, è emersa la commissione di diciannove condotte di cui all’art. 2 del D.lgs. n. 74/00, in relazione ad alcune società facenti parte di un gruppo operante nel settore delle pulizie alberghiere.
Lo schema dell’ipotizzata frode, molto sinteticamente, è costituito dalla simulazione di contratti di subappalto, fungenti da meri serbatoi di personale, e dalla parallela simulazione dei contrati di lavoro.
In questo contesto, al professionista è stata contestata l’aggravante ex art. 13-bis D.lgs. n. 74/00, in quanto, secondo la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, il medesimo è stato coinvolto nella predisposizione delle fatture che tutte le ditte subappaltatrici formalmente emettevano nei confronti delle società operative sulla base di indicazioni provenienti da queste ultime. Peraltro il ricorrente ha svolto tale attività, sia a favore delle cooperative cui era vincolato da un formale rapporto di lavoro - quale addetto alla contabilità -, sia per le società subappaltatrici con cui non aveva alcun formale rapporto di lavoro.
Dalle carte processuali è altresì emerso che l’indagato ha operato «in modo continuativo per un lasso importante di tempo in favore del meccanismo fraudolento disvelato dalle indagini valorizzando gli elementi dai quali è desumibile la sua piena consapevolezza dell’essere le società subappaltatrici mere scatole vuote riconducibili a un unico centro di interesse» costituito dal gruppo societario.
Infine, dalle e-mail in atti, è emerso che il ricorrente si è interessato anche della trasmissione delle denunce retributive e contributive UniEmens per conto di numerose società “serbatoio” di personale in rapporti col gruppo societario in questione.
La Suprema Corte, ritenendo che il Tribunale del Riesame di Milano abbia congruamente ed esaustivamente dato conto, nell’ordinanza impugnata, del ruolo svolto dal professionista, ne ha confermato la statuizione (rigetto della domanda di revoca del sequestro preventivo di beni).
All’indagato sono state, pertanto, addebitate le spese processuali nonché un ulteriore importo (3.000,00 euro) da versare alla Cassa delle Ammende.
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