Ai sensi dell’
art. 7 comma 1 del D.L. n. 269 del 2003, va esclusa la responsabilità dell’amministratore per la sanzioni irrogate alla società di capitali, fatta eccezione per il caso in cui la persona giuridica risulti essere un mero “schermo”. In questo caso, infatti, l’obbligazione si sposta sull’amministratore, anche di fatto, che abbia perseguito tramite l’ente fittizio un proprio scopo illecito.
È quanto emerge dalla lettura della
sentenza n. 28733/2022 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, depositata il 4 ottobre.
Il motivo accolto - Il Collegio di legittimità ha accolto il motivo d’impugnazione col quale è stata denunciata la violazione della legge tributaria per avere la C.T.R. affermato la responsabilità dell’ex amministratore in ordine alle pretese erariali per imposte e sanzioni relative alla società.
Nel caso in esame, la legale rappresentanza della società in questione sarebbe stata attribuita a un prestanome e l’ex amministratore avrebbe quindi proseguito nella gestione pratica degli affari sociali.
Ciò posto, accogliendo il suddetto motivo di ricorso, gli Ermellini hanno rilevato che il contenuto dispositivo dell’art. 7 comma 1 del D.L. n. 269 del 2003 impedisce, in linea di principio, che possa esistere una responsabilità condivisa con la persona fisica agente.
La citata disposizione, nell’introdurre, in discontinuità rispetto al passato, la regola dell’esclusiva riferibilità alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie, costituisce applicazione, in materia tributaria, del principio di personalità delle sanzioni, declinato con specifico riferimento a enti dotati di autonoma soggettività: in altri termini, sono solo tali enti, in quanto soggetti di diritto distinti rispetto alle persone fisiche che per loro materialmente agiscono, a costituire centri di imputazione della violazione e a dover pertanto rispondere delle relative conseguenze sanzionatorie.
La regola dell’esclusiva riferibilità alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie vale anche nel caso in cui la persona giuridica responsabile della violazione, e perciò destinataria delle sanzioni, risulti gestita da un amministratore di fatto.
Fermo quanto precede, i Massimi giudici hanno però rilevato che, alla stregua di ormai consolidati approdi dell’elaborazione giurisprudenziale, la regola in discorso non ha valore assoluto, nel senso, cioè, che essa non trova sempre applicazione, come, ad esempio, nell'ipotesi di società
artificiosamente costituita (v. Cass. n. 10975/2019 e n. 25530/2021).
E infatti, come evidenziato nell’ipotesi della c.d. “cartiera”, la società viene utilizzata quale “schermo” per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio di chi l’amministra, con la conseguenza che viene meno la “ratio” che giustifica l’applicazione del citato art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (v. Cass. n. 29038/2021).
Nel caso di specie, pertanto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, in quanto – si riporta testualmente - «
la motivazione della sentenza impugnata esula completamente l’accertamento dei presupposti fattuali sulla base dei quali la giurisprudenza di legittimità ammette che, nonostante l’art. 7, comma 1, d.l. n. 269 del 2003, si configuri la responsabilità della persona fisica che abbia agito, non in nome o per conto o comunque nell’interesse dell’ente personificato, ma nell’interesse proprio o di terzi».
Da qui il rinvio della causa al Giudice di secondo grado per la rinnovazione del giudizio.