Gli imballaggi terziari non sono, di per sè, esenti dalla Tia/Tarsu. Ad essi si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, rapportandosi la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, con esclusione dalla tassazione della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali. In tema di ripartizione dell'onere probatorio, spetta al contribuente fornire all'Amministrazione comunale i dati relativi all'esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti esclusivamente i rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani.
Il caso - La Corte di Cassazione, con la
Sentenza n. 10029 del 29/03/2022, ha chiarito il trattamento Tia/Tarsu in caso di rifiuti speciali.
Nel caso di specie, la CTR, nel riformare la decisione di primo grado, accoglieva l'appello della contribuente con riferimento alla parte variabile della Tarsu/Tia 2012 e Tarsu 2013, sul rilievo che era incontestato che la società aveva denunciato l'occupazione dei locali, dichiarando di produrre rifiuti speciali costituiti da imballaggi terziari, con richiesta di esenzione dalla tassa per le superfici indicate, producendo documentazione che aveva indotto il Comune alla riduzione della tassa rispetto alla documentazione attestante lo smaltimento in proprio di rifiuti assimilati prodotti.
Affermava il giudice di secondo grado che, sia sulla base della normativa del decreto Ronchi che in base alla
L. 214/2011 (Tares), il contribuente è sempre tenuto a corrispondere la parte fissa della tariffa che è correlata al possesso dei locali; mentre la parte variabile è determinata dalla tipologia dei rifiuti prodotti, dalla loro eventuale assimilazione a quelli urbani e la riduzione della tariffa dipende dall'avviamento dei rifiuti allo smaltimento in proprio con operatori autorizzati.
Precisava poi la CTR che gli imballaggi terziari sfuggono alla privativa comunale, per cui il loro trattamento può avvenire esclusivamente con operatori autorizzati.
Al di là dei principi di diritto le parti non concordavano però su un dato fattuale: ovvero se la società avesse denunciato e richiesto l'esenzione, documentando la produzione dei rifiuti speciali non assimilabili e se avesse dimostrato il loro corretto smaltimento.
La CTR, constatato che dai formulari non emergeva la natura terziaria degli imballaggi, ma che detti formulari erano predisposti dall'Amministrazione e non prevedevano detta indicazione, tenuto conto che la società si occupava di logistica integrata per conto terzi e non di vendita all'ingrosso o al dettaglio della merce che riceveva, ne desumeva che non si trattava di imballaggi primari o secondari, bensì di imballaggi terziari, confezionati in modo da consentirne il trasporto.
Avendo il Comune, con regolamento, escluso la tassabilità delle superfici dove si producono imballaggi terziari, in conformità al disposto dell'art. 14 L. 21/2011, doveva pertanto ritenersi non dovuta la parte variabile della tariffa.
Avverso la pronuncia della CTR il Comune proponeva infine ricorso per cassazione e la società replicava con controricorso e ricorso incidentale.
Per quanto di interesse, il Comune denunciava quindi la violazione degli artt. 65 e 67
Dlgs. 507/93, nonché l'illegittimità del riconoscimento della esclusione dalla tassazione dei magazzini per la parte variabile della tariffa. Rispetto a detta annualità, il Comune aveva del resto già applicato il trattamento agevolato previsto dall’art.7 dell'allora vigente regolamento comunale, con applicazione della tariffa ridotta nelle misure stabilite previste per categoria di appartenenza del compendio produttivo della società.
Con altro motivo di ricorso, il Comune denunciava poi la violazione degli artt. 62, comma 3, 70 Dlgs. 507/93, 14 comma 10 e commi 32 e 33 del
Dl. 201/2011, convertito in L. 214/2011, per violazione degli obblighi dichiarativi o mancato assolvimento dell'onere della prova della natura dei rifiuti in relazione alla parziale esenzione Tarsu e Tares e per avere il giudicante riconosciuto che difettava l'individuazione nei formulari della natura terziaria degli imballaggi desumendone tuttavia la tipologia dalla natura dell'attività svolta dalla società, ancorché la società avesse sempre provveduto al pagamento della Tarsu anche sui locali destinati ad uso magazzino, così confermando che in quei locali non venivano prodotti rifiuti da imballaggio terziario.
Tutto ciò in violazione del disposto del citato art. 62 e della disciplina di settore, che prevedono ai fini dell'esenzione anche parziale della Tarsu/tares la preventiva denuncia della tipologia dei rifiuti speciali non assimilabili generati, nonché del loro recupero a spese del produttore; in mancanza del quale la produzione di rifiuti assimilati e tassabili si presume fino a prova contraria.
Il ricorrente censurava infine, comunque la pronuncia impugnata per aver esentato la società dal pagamento dell'intera parte variabile della tassa, ritenendo che tutta la superficie produttiva del compendio industriale oggetto di causa dovesse considerarsi produttiva di imballaggi terziari, e non tenendo conto delle carenze documentali e della normativa, che consentiva, al più, una riduzione tariffaria e non una esenzione, considerando soprattutto la destinazione di alcune aree (magazzini, aree accessorie, locali tecnici).
Con ricorso incidentale la società contribuente lamentava invece la illegittima applicabilità alle superfici di magazzino della quota fissa, per avere i giudici confermato la debenza della quota fissa, che invece non era prevista dal Dlgs 507/93, laddove la disciplina Tares prevedeva la totale esenzione dal tributo per le superfici che producono rifiuti speciali al cui recupero sono tenuti i produttori.
La decisione - Secondo la Suprema Corte, le censure, che, involgendo questioni intimamente connesse, potevano essere scrutinate unitariamente, erano fondate, rimanendo assorbito il ricorso incidentale.
Evidenziano i giudici di legittimità che il quadro normativo di riferimento, rimaneva comunque quello costituito dal Dlgs. n. 507 del 1993 e dal Dlgs. n. 22 del 1997, laddove dall'esame del Titolo 2^ del decreto Ronchi si ricavava che i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere; regime, caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro "gestione" (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento).
Ne deriva pertanto che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai Comuni ai rifiuti urbani, ed i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario (cfr., Cass. n. 627 del 19.10.2011; Cass. n. 627/2012; Cass. n. 4793/2016; Cass. 14414/2017; Cass. n. 6358 e 6359 del 2016). Quindi, stante la non assimilabilità assoluta degli imballaggi terziari ai rifiuti urbani, in relazione agli stessi la tassa non è dovuta, indipendentemente dall'assimilazione agli urbani eventualmente operata dal Comune.
Conclusioni - Andava osservato, in conclusione, che l'operata assimilazione era priva di rilevanza nel caso concreto, ove, trattandosi di imballaggi terziari, si applicava appunto la disciplina stabilita per i rifiuti speciali (Dlgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3), essendo la tassa esclusa per la sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali.
Ciò non comporta, che tali categorie di rifiuti (imballaggi terziari) siano, di per sé, esenti dalla TARSU, ma che ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal più volte citato Dlgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l'esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (cfr., Cass. n. 4793 del 15.12.2015; Cass. nn. 4792 e 4793 del 2016).
Ciò che qui era in discussione, in ogni caso era la qualificazione dei rifiuti prodotti, che il Comune contestava appartenere alla categoria degli imballaggi terziari, laddove però, rileva la Corte, in tema di ripartizione dell'onere probatorio, spetta al contribuente fornire all'Amministrazione comunale i dati relativi all'esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti esclusivamente i rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del Dlgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale è onere dell'amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell'obbligazione tributaria (nella specie, l'occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull'interessato (oltre all'obbligo di denuncia ai sensi del Dlgs. n. 507 del 1993, art. 70), un onere d'informazione, al fine di ottenere l'esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (cfr., Cass. 13 settembre 2017, n. 21250; 4 aprile 2012, n. 5377).
A tal fine, in mancanza di specifica contestazione al riguardo, sia il MUD che i registri di carico e scarico potevano comunque essere ritenuti elementi comprovanti il superamento della soglia stabilita dal Comune, ai fini della esclusione dalla assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani. Tale circostanza, da sola, non era però sufficiente ai fini della esclusione dalla tassazione, dovendo la società fornire anche la prova di avere provveduto al loro effettivo smaltimento mediante ditte specializzate, producendo copia dei relativi contratti e/o delle relative fatture.
Dalla stessa sentenza della CTR, risultava a tal proposito evidente che i formulari non esponevano la natura dei rifiuti prodotti, la cui natura era stata desunta dalla CTR solo dalla natura dell'attività svolta dalla società, non considerando però che la contribuente avrebbe dovuto provare che l'intera superficie indicata nella denuncia produceva in via prevalente imballaggi di natura terziaria, individuandone la natura nei MUD e fornendo la relativa prova dell'auto-smaltimento attraverso la produzione dei contratti e delle ricevute.