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La Corte di cassazione – Sezione Lavoro, con l’ordinanza 1° dicembre 2025, n. 31312, ha chiarito che viola l’obbligo di repêchage il datore di lavoro che, dopo un licenziamento per GMO, attribuisce una posizione lavorativa a un collaboratore autonomo invece che al dipendente licenziato che possedeva la professionalità adeguata a ricoprire proprio quel posto.
Secondo la pronuncia in esame:
C.G. aveva lavorato per un Consorzio come quadro, con l’incarico di direttore tecnico, dal febbraio 2017 fino al gennaio 2019, quando venne licenziato per giustificato motivo oggettivo. Contestò il recesso, sostenendo che la ragione addotta non fosse reale e che il Consorzio avesse comunque violato l’obbligo di repêchage, poiché esistevano altre mansioni alle quali avrebbe potuto essere assegnato. Chiese così che il Consorzio fosse condannato a pagargli l’indennità risarcitoria in misura non inferiore a sei mensilità e non superiore a trentasei, sulla base della retribuzione mensile di Euro 4.697,16. Proponeva altresì varie domande di condanna del Consorzio al pagamento delle retribuzioni dovute per lavoro straordinario, del premio di risultato e dell’indennità di mensa, nonché al rimborso delle imposte a titolo di acconto 2019.
Il Tribunale ha accolto la domanda relativa al licenziamento, ritenendo non provata la reale soppressione della posizione. Ha rilevato, altresì, che, poco dopo il recesso, il Consorzio aveva affidato a un collaboratore esterno le funzioni di responsabile delle risorse umane, mansione che avrebbe potuto essere svolta dallo stesso ricorrente.
Il Consorzio ha impugnato la decisione, ma la Corte d’Appello di Roma ha confermato integralmente la decisione dei colleghi di primo grado.
Secondo i giudici di appello:
Di conseguenza, la Corte d’Appello ha ritenuto illegittimo il licenziamento perché, anche ammettendo la soppressione del posto originario, comunque il Consorzio non aveva provveduto alla ricollocazione possibile.
A questo punto il Consorzio ha proposto ricorso in Cassazione, contestando la ricostruzione dei giudici di merito e la valutazione sulla professionalità del lavoratore, oltre alla mancata ammissione di alcune prove, ma l’iniziativa non ha avuto successo.
La Suprema Corte, disattesi tutti i motivi di ricorso, ha confermato la violazione dell’obbligo di repêchage.
Gli Ermellini hanno esaminato i motivi di ricorso del Consorzio concentrandosi principalmente sul rispetto o meno dell’obbligo di repêchage.
Il Consorzio ha negato la violazione di tale obbligo perché la posizione di responsabile delle risorse umane, emersa dopo il licenziamento, era stata affidata non a un dipendente ma a un collaboratore autonomo, e ciò escludeva l’esistenza di un posto “disponibile” a cui ricollocare il lavoratore licenziato.
Il Collegio di Piazza Cavour ha però evidenziato che, ai fini del repêchage, la natura del rapporto giuridico instaurato per coprire la nuova posizione è del tutto irrilevante. Ciò che conta è la presenza di una concreta esigenza lavorativa che avrebbe potuto essere soddisfatta impiegando il dipendente licenziando.
Diversamente, il datore di lavoro potrebbe eludere con facilità l’obbligo di ricollocazione semplicemente ricorrendo, dopo il licenziamento, a contratti autonomi per coprire posizioni che il lavoratore avrebbe potuto svolgere.
Questa interpretazione è coerente con la giurisprudenza che considera violato il repêchage quando una mansione viene attribuita a un nuovo assunto a tempo determinato senza offrirla al dipendente in esubero.
Inoltre, nel caso di specie, i giudici di appello hanno fornito una motivazione logica e sufficiente in merito alla ritenuta adeguatezza della professionalità del lavoratore per svolgere le funzioni di responsabile delle risorse umane, rilevando che lo stesso aveva già svolto attività di gestione del personale pienamente compatibili con il ruolo affidato al collaboratore autonomo.
Infine, quanto alle censure relative alla motivazione della sentenza d’appello e alla mancata ammissione di alcune prove testimoniali, la Cassazione le ha ritenute infondate.
La Corte d’Appello ha spiegato in modo chiaro il proprio percorso logico, rispettando il “minimo costituzionale” richiesto per la motivazione, e ha legittimamente qualificato come superflue le ulteriori prove richieste, poiché la violazione del repêchage risultava già accertata sulla base del materiale istruttorio disponibile.
In definitiva, la Suprema Corte ha confermato la violazione dell’obbligo di repêchage, così rigettando integralmente il ricorso del Consorzio.
La decisione statuisce in modo chiaro che non è possibile per il datore di lavoro eludere il repêchage ricorrendo a contratti autonomi per coprire posizioni che avrebbero potuto essere affidate al lavoratore licenziato.
La società Alfa Servizi S.p.A., operante nel settore della logistica, impiega 110 dipendenti e possiede un articolato ufficio amministrativo e risorse umane.
Il dipendente Tizio, assunto come responsabile operativo di area, si occupa da anni anche di compiti di gestione del personale: programmazione dei turni, autorizzazione di permessi e ferie, partecipazione agli incontri con i sindacati, avvio delle procedure di selezione e coordinamento delle sostituzioni.
Nel 2025 l’azienda dichiara di voler ridurre i costi sopprimendo la posizione di Tizio, comunicandogli un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Tizio impugna il licenziamento, sostenendo che:
la ragione organizzativa è solo apparente;
comunque l’azienda ha violato l’obbligo di repêchage perché, poche settimane dopo il suo recesso, ha conferito un incarico di collaborazione autonoma a un consulente esterno, la dott.ssa Mevia, affidandole la gestione delle risorse umane.
Alfa Servizi replica che:
Il Tribunale accoglie la domanda del lavoratore perché:
La Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado, osservando che il datore non può evitare l’obbligo di ricollocamento “esternalizzando” la funzione a un autonomo o a un collaboratore esterno, se quella mansione era oggettivamente compatibile con le competenze del lavoratore licenziato.
La Cassazione, investita del ricorso della società, lo rigetta richiamando il principio – precisato proprio nell’ordinanza del 1° dicembre 2025 – secondo cui:
È irrilevante che la stessa venga poi ricoperta mediante un contratto di lavoro autonomo.
Diversamente, il datore potrebbe eludere il limite del repêchage semplicemente modificando la forma contrattuale del nuovo rapporto.
Applicando tale regola al caso di specie, il posto affidato alla consulente dott.ssa Mevia avrebbe dovuto essere offerto a Tizio, che aveva professionalità adeguata.
All’esito del giudizio di legittimità, conclusivamente:
(prezzi IVA esclusa)