Premessa - Affinché sussiste la violazione dell'obbligo di fedeltà previsto dall'art. 2105 c.c., divieto che riguarda non già la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella svolta illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite per effetto del rapporto stesso,è necessario che almeno una parte dell'attività concorrenziale sia stata compiuta durante il rapporto di lavoro, così che il pericolo per il datore di lavoro sia divenuto concreto durante la pendenza del rapporto. A stabilirlo è la Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 5365 del 4 aprile 2012 soffermandosi ad analizzare i requisiti necessari affinché possa dirsi provata la violazione del dovere di fedeltà del lavoratore.
La vicenda –La vicenda riguarda una controversia tra un lavoratore, assunto da una prima società, il quale, in accordo con il datore di lavoro, aveva poi dato le dimissioni per divenire dipendente di altra società che, avvalendosi dell’opera del predetto lavoratore, sarebbe successivamente diventata concessionaria esclusiva dei prodotti della prima. A questo punto, il primo datore di lavoro chiama in causa l’ex dipendente, ritenendo che quest’ultimo sia venuto meno al vincolo della fedeltà. La Corte d’Appello di Milano, però, confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso del primo datore di lavoro, non avendo ritenuto provata né l’infedeltà del proprio ex lavoratore nel corso del pregresso rapporto di lavoro, né la concorrenza sleale per l’attività svolta presso il nuovo datore di lavoro. Infine, il datore di lavoro si avvale del terzo grado di giudizio chiedendo la condanna del lavoratore al risarcimento dei danni.
La sentenza – La Suprema Corte evidenziava immediatamente l’infondatezza del predetto motivo specificando che l’obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c. non potesse ritenersi violato nei confronti di un precedente datore di lavoro, dovendo invece riferirsi esclusivamente al rapporto attuale tra dipendente e azienda. Anzi, gli Ermellini non evidenziavano nemmeno la diversa ipotesi della concorrenza sleale per sviamento dell’attività, dal momento che la condotta posta in essere dall’ex dipendente non si caratterizzava per sistematicità, dovendosi invece ritenere “fisiologico” che un nuovo imprenditore, nell’avviamento della propria nuova attività, “acquisisca o tenti di acquisire clienti” del precedente datore di lavoro.Infatti, i giudici richiedevano la prova che l’attività concorrenziale fosse stata compiuta in pendenza di rapporto e che i compensi pagati direttamente da clienti del datore di lavoro al lavoratore fossero connessi all’attività prestata durante l’orario di lavoro. Per concludere il divieto di concorrenza non riguarda quindi quella svolta dal prestatore di lavoro dopo la cessazione del rapporto di lavoro nei confronti del precedente datore di lavoro.
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