Premessa – Gli effetti della crisi economica non lasciano scampo neanche alla diffusione degli accordi di secondo livello per l’applicazione dei premi risultati. Infatti, a causa di una burocrazia e di regole poco chiare, gli sconti sulla produttività stentano a decollare, registrando una perdita netta di 9 punti percentuali di produttività di lavoro rispetto ai competitor europei. In particolare, su un totale di 5.491 contratti di secondo livello, 3.398 sono le intese di secondo livello mirate alla detassazione dei premi da depositare alle DTL del Ministero del Lavoro. Dei 3.398 contratti depositati, 3.113 sono aziendali e 285 sono territoriali. Sono questi i dati sconfortanti derivanti dal Dpcm del 22 gennaio 2013, messo a punto dal Governo Monti.
Premi di risultato – L’agevolazione, che consiste nella possibilità per i lavoratori – titolari di un reddito di lavoro dipendente fino a 40mila euro - di poter applicare l’aliquota del 10% sui premi di produttività nel limite massimo di 2.500 euro, avviene “in esecuzione di contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale (...) ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda”. Al riguardo, l’Istituto previdenziale ha confermato la possibilità, per le aziende prive di rappresentanze sindacali in ambito aziendale, di sottoscrivere contratti con una o più associazioni dei lavoratori a livello territoriale. In ogni caso, sia a livello territoriale che a livello aziendale, i contratti dovranno essere sottoscritti da associazioni dei lavoratori in possesso del grado di rappresentatività richiesto. Non potranno viceversa essere tenuti in considerazione, ai fini dell’applicabilità dell’agevolazione, eventuali contratti nazionali di categoria. Il decreto, inoltre, ha previsto che i premi di risultato siano collegati a indicatori quantitativi di produttività, oppure che i contratti prevedano l’attivazione di almeno una misura in tre aree di intervento su quattro, individuate fra: flessibilità degli orari di lavoro, distribuzione “elastica” delle ferie, impiego di nuove tecnologie, fungibilità delle mansioni.
Criteri per il premio – Secondo i dati dell’Ocsel (osservatorio contrattazione di II livello), nel 2013 il 56% delle intese proviene dal parametro quantitativo. In generale, le intese sulla negoziazione del salario sono in calo, rispetto agli ultimi anni. Infatti, questi rappresentano nel 2013 il 14% del totale, contro il 35% del 2011 e il 18% del 2012. Nelle intese di II livello è cresciuto invece il peso della gestione delle crisi aziendali, che ricorreva nel 41% dei contratti nel 2011 ed è presente per il 74% nel 2013.
Normativa poco chiara – Un fattore che sicuramente importante che ha messo il freno a mano alla diffusione degli accordi è l’incertezza sulle regole. Basta pensare che per quest’anno mancano ancora i criteri applicativi (anche se la scadenza per l’emanazione del Dpcm era fissata al 15 gennaio scorso). A ciò si aggiunge il taglio netto praticato dalla legge di Stabilità 2014 (L. n. 147/2013) riducendo le risorse finanziarie da 400 a 305 milioni la dote a disposizione. Secondo Assolombarda, “è necessaria una misura strutturale per favorire la diffusione e lo sviluppo della contrattazione aziendale sui salari di produttività”.
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