Il datore di lavoro, in fase di costituzione del rapporto di lavoro, è chiamato ad operare l’inquadramento del lavoratore: si tratta di un procedimento complesso e delicato che culmina con l’individuazione della qualifica e della categoria che corrispondono correttamente alle mansioni alle quali il prestatore sarà effettivamente adibito. L’inquadramento deve essere rivisto, nel corso del rapporto, qualora il lavoratore sia adibito a mansioni diverse e corrispondenti ad un livello di inquadramento superiore a quello inizialmente attribuitogli.
Nella pratica, oltre che all’atto dell’assunzione, anche in seguito al mutamento delle mansioni normalmente svolte dal lavoratore, il datore di lavoro deve seguire una sorta di procedimento logico, che si articola nelle fasi che seguono:
• individuazione dell’attività lavorativa concretamente svolta;
• esame delle mansioni effettive, in relazione alle declaratorie definite dal contratto collettivo nazionale di categoria;
• determinazione del corrispondente livello di inquadramento contrattuale del lavoratore
• definizione del minimale retributivo spettante al lavoratore.
Inquadramento legale e convenzionale
Il nostro ordinamento già nel Codice Civile ha inserito una rigida classificazione tra:
• la categoria legale, declinata come segue:
o dirigenti, con precise competenze e responsabilità decisionale nei confronti dell’azienda;
o quadri, che svolgono funzioni rilevanti ai fini dello sviluppo dell’impresa;
o impiegati, con funzioni di collaborazione di concetto e di ordine;
o operai, che svolgono prestazioni lavorative caratterizzate da manualità;
• la qualifica, che identifica il raggiungimento di uno standard di conoscenze, abilità e competenze relativamente ad una specifica figura professionale;
• la mansione, con la quale viene individuata la serie di attività che rappresenta il contenuto dell’obbligazione del prestatore di lavoro.
Nel tempo gli interventi operati dalla contrattazione collettiva dei vari settori hanno portato, sotto il profilo più specificatamente operativo, alla definizione di un sistema di classificazione c.d. convenzionale, il sistema del cd. inquadramento unico contrattuale, secondo il quale operai, impiegati e quadri, pur appartenendo a categorie legali differenti, vengono classificati nel medesimo livello in quanto le mansioni da loro svolte hanno, alla luce di quanto valutato dalle parti sociali, analogo valore professionale. Per ciascun livello viene così definita l’indicazione delle qualifiche professionali, con le mansioni riconducibili al ruolo e l’elencazione delle attività lavorative riconducibili a quella qualifica. La contrattazione collettiva nazionale individua così le qualifiche ed i livelli in cui devono essere inquadrati i lavoratori sulla base delle mansioni che verranno svolte ed il trattamento retributivo adeguato per ciascuna di esse.
Il mutamento delle mansioni: i perché del Jobs Act
Il legislatore del Jobs Act è intervenuto incisivamente sulla fattispecie relativa alla variazione delle mansioni attribuite al lavoratore. Il Codice Civile ha posto l’art. 2103 a tutela della professionalità del prestatore di lavoro: ciascun lavoratore ha diritto a prestare l'attività lavorativa per la quale si è stati assunti, vietandone l'adibizione a mansioni inferiori, è norma imperativa e quindi non derogabile nemmeno tra le parti. Il divieto di variazione in peius operava peraltro anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori.
Tanto basta a comprendere la rilevante portata dell’intervento operato in materia di mansioni dal decreto legislativo con il Decreto legislativo n. 81 del 2015, entrato in vigore il 25 giugno 2015, nel tentativo di contemperare la tutela dell’interesse che ha l’impresa ad impiegare al meglio i dipendenti e il diritto dei lavoratori a veder tutelata la propria professionalità, ma anche il posto di lavoro e, quindi, le condizioni di vita ed economiche della propria famiglia.
Una volta superato il concetto di equivalenza delle mansioni, è ormai consentito operare un mutamento di mansioni, diversificato, a seconda delle ragioni che lo giustificano. Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
Viene inoltre innalzato da tre a sei mesi il periodo di lavoro continuativo che può far scattare il diritto all’inquadramento in un livello superiore, periodo che può essere anche stabilito in misura diversa dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale .
Anche il demansionamento viene consentito in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore, purché si rimanga nell’ambito della medesima categoria.
Il legislatore inoltre definisce ulteriori ipotesi di demansionamento che potranno essere previste dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In tali casi, il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
Con un accordo individuale, concluso nelle sedi preposte alla conciliazione delle controversie in materia di lavoro o dinanzi alle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro, istituite a norma del D.Lgs. n. 276/2003, il demansionamento può anche essere attuato direttamente fra le parti, e andare a modificare le mansioni, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.
Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni.
Nel caso invece di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione diviene definitiva:
•ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio,
•dopo il periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.
E’ comunque fatta salva la diversa volontà del lavoratore e l'eventuale rinuncia dello stesso al riconoscimento della mansione superiore e dei diritti correlati.
Il lavoratore può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale (operaio, quadro, impiegato) di inquadramento del dipendente.
Il passaggio a mansioni inferiori deve essere comunicato per iscritto a pena di nullità. La legge non richiede l’indicazione scritta delle motivazioni, e pertanto la mancanza di tale elemento non dovrebbe comportare la nullità dell’atto.