Premessa – Non è possibile escludere una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale, se questo corso è inerente al suo impiego ed è obbligatorio per ottenere la nomina definitiva in ruolo. L’esclusione, infatti, oltre a non essere conforme alla normativa comunitaria, è considerato come trattamento sfavorevole rispetto agli uomini. A stabilirlo è la Corte di giustizia Ue nella sentenza alla causa C-595/12, autorizzando così il giudice nazionale a disapplicare direttamente la normativa Ue contraria ai principi europei.
Il caso – La vicenda riguarda una lavoratrice italiana vincitrice di concorso per la nomina vicecommissario della polizia penitenziaria del Ministero della Giustizia. Dopo aver vinto tale concorso, la lavoratrice avrebbe dovuto partecipare a un corso di formazione, ma questo era fissato in un periodo durante il quale la stessa si trovava in congedo obbligatorio di maternità. L'amministrazione penitenziaria informa la lavoratrice che, decorsi 30 giorni dal congedo di maternità, sarebbe stata dimessa dal corso con perdita della retribuzione e che avrebbe potuto frequentare il successivo corso organizzato. La lavoratrice, persa l'occasione di passaggio in ruolo, si rivolge al Tar Lazio lamentando disparità di trattamento. Il Tar, di conseguenza, chiede alla Corte Ue di sapere se la direttiva n. 2006/54/Ce in tema di parità di trattamento fra uomini e donne sia contraria alla normativa nazionale, ai sensi della quale, per aver preso un congedo obbligatorio di maternità, una donna viene esclusa da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego e che deve essere obbligatoriamente seguito per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo (quindi beneficiare di condizioni d'impiego migliori), pur garantendole il diritto di partecipare al corso di formazione successivo, il cui periodo di svolgimento è tuttavia incerto.
La sentenza – La Corte UE dà ragione alla lavoratrice. Essa parte dalla considerazione che la materia è disciplinata nella direttiva 2006/54, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. A tal proposito, la Corte ricorda che l’art. 14 della Direttiva vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento, la retribuzione e la formazione. La stessa Direttiva, tra l’altro, stabilisce che alla fine del periodo di congedo per maternità la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza. Ciò detto, la Corte UE afferma che non è ammissibile che il congedo di maternità produca effetti negativi sulle condizioni di lavoro una lavoratrice.
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