20 ottobre 2015

Privacy: vietati i controlli su Skype

Il datore di lavoro non può spiare le conversazioni Skype dei dipendenti

Autore: Redazione Fiscal Focus
Le conversazioni di lavoro sul software “Skype” dei dipendenti non possono essere oggetto di controllo da parte del datore di lavoro. Questo comportamento da "Grande Fratello" è illecito in quanto il contenuto di tipo elettronico o telematico scambiato dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro gode di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale.

Il principio è stato riaffermato dal Garante della Privacy, provvedimento del 4 giugno 2015 n. 345, reso noto con la newsletter del 28 settembre 2015.

La conseguenza per il datore di lavoro è l’impossibilità di effettuare alcun trattamento dei dati personali contenuti nelle conversazioni ottenute in modo illecito, limitandosi alla conservazione di quelli finora raccolti ai fini di una eventuale acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria.

La vicenda – La vicenda riguarda una dipendente che lamentava l’illecita acquisizione di conversazioni, con alcuni "partnership stranieri" del datore di lavoro mediante l'utilizzo del software Skype installato sul computer assegnatole in dotazione per lo svolgimento delle proprie mansioni, poste poi alla base del licenziamento. Al riguardo, la ricorrente evidenziava come l’acquisizione di tali dati siano stati acquisiti illegittimamente dalla resistente in quanto l'interessata non sarebbe mai stata informata "in ordine ai mezzi ed alle procedure utilizzate dal datore di lavoro per il controllo del p.c. aziendale", che quindi sarebbe avvenuto in modo occulto.

Garante della privacy - Nel provvedimento citato, il Garante della privacy ha ritenuto che il datore di lavoro è incorso in una grave interferenza nelle comunicazioni, attuata, per sua stessa ammissione, attraverso l'installazione di un software sul computer assegnato alla dipendente in grado di visualizzare sia le conversazioni effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro prima di uscire dall'azienda, sia quelle avvenute successivamente da un computer collocato presso la propria abitazione. Nel caso di specie, l'attività di raccolta posta in essere dal datore di lavoro, riguardando in parte sia comunicazioni avvenute nel corso di svolgimento delle mansioni della lavoratrice che comunicazioni effettuate dalla ricorrente al di fuori di esse, risulta essere stata posta in essere con modalità che si pongono in evidente contrasto sia con le "Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet", nonché con la stessa policy aziendale adottata a riguardo dal titolare del trattamento e specificamente approvata negli stessi termini dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Verona, che con le disposizioni più generalmente poste dall'ordinamento a tutela della segretezza delle comunicazioni.

Alla luce di ciò, il Garante della privacy ha accolto il ricorso della dipendente, ordinando alla società resistente, con effetto immediato dalla data di ricezione del presente provvedimento, di non effettuare alcun ulteriore trattamento dei dati personali relativi alle conversazioni Skype avvenute tra la ricorrente e soggetti terzi, con conservazione di quelli finora trattati ai fini della eventuale acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria.
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