27 giugno 2012

Sanzionato il datore in caso di parziale reintegra

È sanzionata la società che reintegra solo parzialmente il lavoratore, anche se assolve al pagamento retributivo
Autore: Redazione Fiscal Focus

Premessa – Qualora il datore di lavoro reintegra solo parzialmente un lavoratore, limitandosi a pagargli lo stipendio e riconoscendogli i diritti sindacali, ma rifiutando la sua prestazione lavorativa, è soggetto alla sanzione amministrativa prevista dall’art. 18, c. 10 dello Statuto dei lavoratori, corrispondente alla retribuzione giornaliera spettante al dipendente, per ogni giorno di ritardo, al Fondo INPS per l'adeguamento delle pensioni. A tale conclusione è arrivata la Suprema Corte con la sentenza n. 9965 del 18 giugno 2012, in quanto il pagamento della retribuzione e l’eventuale riconoscimento dei diritti sindacali non possono essere assolutamente equiparati alla reintegrazione piena.

La vicenda – La vicenda trae origine da un pluralità di licenziamenti, giudicati illegittimi dal Tribunale del lavoro, intimati nei confronti di alcuni dirigenti sindacali. Tuttavia, la società condannata non aveva reintegrato in maniera piena i lavoratori, rifiutandosi di ricevere le loro prestazioni lavorative, ma adempiendo all’obbligo di pagargli la retribuzione e consentendogli l’accesso in azienda per lo svolgimento dell’attività lavorativa. A questo punto, ritenuto illegittimo il comportamento della società, l’INPS ritiene possibile applicare la sanzione prevista dall’ultimo comma dell’art. 18 dello Statuto del lavoratori, mediante l’emissione di cartelle esattoriali. Infatti, il Tribunale di Bergamo prima e la Corte d’Appello poi, hanno dato ragione all’INPS, affermando che il comportamento della società non configura “un reale adempimento dell’ordine di reintegrazione” perché l’adempimento del contratto di lavoro da parte del datore di lavoro, cui è strumentale l’obbligo di reintegrazione, implica che al lavoratore venga consentito di rendere la prestazione, che non è solo un obbligo, ma anche un diritto. La società, dopo aver esperito l’appello, ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo di aver adempiuto ai propri doveri, quindi di non essere tenuto a pagare la sanzione.

La sentenza – I giudici rifiutano nel complesso i motivi di impugnazione della società. Infatti, anche se l’accettazione delle prestazioni lavorative rientrano tra i cosiddetti “obblighi di fare”, la reintegrazione nel posto di lavoro comporta non soltanto la riammissione del lavoratore nell’azienda, ma anche un indispensabile e insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo-funzionale, consistente, fra l’altro, nell’impartire al dipendente le opportune direttive, nell’ambito di una relazione di reciproca e infungibile collaborazione. Sulla base di tale affermazione, la Suprema Corte conferma l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 18 per i casi di mancata reintegrazione dei dirigenti sindacali, poiché “reintegrare” di fatto significa “restituire in integro”, ossia riportare nella condizione di pienezza del diritto leso, comprensiva di tutti i profili, tanto economici che non economici. Pertanto, la reintegrazione completa si ha solo se al lavoratore sono riconosciute tutte le prerogative precedenti al licenziamento. Dunque, gli ermellini ritengono infondato il ricorso e condannano la società al pagamento delle spese giudiziarie.

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