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Premessa – Dopo le perplessità manifestate dai C.d.L. in merito all’interpretazione data dall’INPS nella circolare n. 44/2013 in merito al c.d. “ticket licenziamento”, forti critiche piovono anche da parte del senatore Maurizio Sacconi che in un’interrogazione parlamentare cita tutti i punti di debolezza di un norma mal interpretata che graverà sulla recessione già in atto in Italia. I punti critici riguardano la mancata differenziazione tra tempo pieno e parziale, e la riproporzione dei mesi per il calcolo e definizione autonoma di mese intero. A tal fine, è stata chiesta al Ministero del Lavoro una modifica dei criteri INPS non supportati dalla norma.
Interpretazione INPS – L’Istituto previdenziale, senza alcun supporto della norma, ha sostenuto che: il contributo è scollegato all'importo della prestazione individuale, quindi è dovuto nella stessa misura, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full time o part time); il contributo va rideterminato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro e non in funzione di una anzianità multipla di 12 mesi; si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario.
Maurizio Sacconi – Il senatore Maurizio Sacconi, nonché ex ministro del Lavoro, sostiene in pieno la tesi dei C.d.L. nella parte in cui viene chiarito che “l'interpretazione fornita con la circolare con riferimento ai rapporti a tempo parziale, oltre a non trovare alcun fondamento nel testo della legge e nei principi generali che regolano il rapporto part-time, determinano un ingiustificato onere contributivo parificando lavoratori che prestazione l'attività per poche ore alla settimana con lavoratori (anche dirigenti) che svolgono una prestazione a tempo pieno; l'interpretazione, in riferimento alla misura del contributo rispetto all'anzianità aziendale, è contraria alla legge poiché non è previsto alcun riproporzionamento al mese, ma al contrario essa prevede espressamente che sussista un'anzianità minima e/o multipla di 12 mesi ("ogni dodici mesi"); l'interpretazione che considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario non ha alcun riscontro nella legge, determinando l'obbligo per le imprese di pagare il contributo intero anche se il lavoratore ha svolto una prestazione per una parte del mese. La legge quando ha ritenuto di applicare questo criterio lo ha previsto espressamente, come nel caso del calcolo del trattamento di fine rapporto (art. 2120 del codice civile)”.
Le conseguenze – L’erronea interpretazione fornita dalla squadra dell’INPS, capeggiata da Antonio Mastrapasqua, rischia non solo di generare un maggior costo per le imprese di circa 225 milioni di euro all'anno, ma anche di generare un elevato contenzioso che, con alta probabilità, potrebbe vedere soccombente l'Istituto previdenziale.
Cosa fare? – Considerata la situazione che si è venuta a creare, il Ministero del Lavoro è chiamato ad attivarsi immediatamente affinché modifichi i criteri interpretativi dell’INPS prevedendo: un riproporzionamento del contributo con riferimento ai rapporti a tempo parziale; che il contributo sia dovuto solo nel caso in cui il lavoratore abbia un'anzianità di almeno 12 mesi interi, o multipli di 12 mesi interi (24 mesi o 36 mesi); che il mese di anzianità sia considerato solo quando è stato interamente lavorato.