11 luglio 2020

C’era una volta Ennio

Se c’è una lezione che più di tutte Ennio Morricone ci ha lasciato, è quella della semplicità e dell’umiltà. Nonostante la sua fama, i suoi trionfi, i tanti meritati riconoscimenti, quell’uomo così timido e schivo non è mai stato un esibizionista, non ha mai avuto la pretesa di invadere ed imporsi. Ha piuttosto fatto in modo che fossero la sua opera ed il suo genio ad esprimersi per lui, a scivolare tra archi, tasti e fiati varcando ogni confine terrestre, recando la magia di melodie che sono diventate storie e leggende ed hanno rapito l’anima ed il cuore di chiunque l’abbia ascoltate.

Il grande maestro, mite e gentile, ha sempre preferito la musica ai discorsi, il suono alla vista, il vuoto delle parole riempito dal senso delle note. È così che, con i suoi oltre cinquecento componimenti, capaci di spaziare tra i generi più diversi, è riuscito a raccontare emozioni e storie dal valore universale, incantando e commuovendo intere generazioni.

C’è una bellezza meravigliosa in questa sua duttilità, nel suo sapersi muovere tra musica leggera e classica, colonne sonore e musica da orchestra: un’arte attraverso cui ha finito per raccontare anche se stesso oltre che farne lo strumento per incorniciare ed enfatizzare le storie altrui. Lo disse lui stesso, del resto, che nel realizzare una colonna sonora non bastava che piacesse al regista e al pubblico, ma doveva piacere a lui per primo, perché la musica non può scendere a compromessi, non va tradita, e deve conservare sempre la sua funzione di veicolo delle emozioni.

Amore puro, fedeltà assoluta: questo è stata la musica per Morricone, la passione cui ha dedicato la sua intera esistenza, camminando con lei, crescendo con lei attraverso gli anni e le epoche, con una straordinaria, camaleontica capacità di adattarvisi ed adattarla ai diversi contesti, fino a giungere alla massima consacrazione come direttore d’orchestra, genio quasi divino capace di creare magia con i movimenti della sua bacchetta.

L’impronta dei suoi componimenti è sempre stata originale ed inequivocabile, tanto da renderli identificabili tra mille, con quella loro etichetta di grazia e di dolcezza che aveva il dono di restare intatta anche quando l’effetto era quello di una tempesta, di un tuono potente che irrompeva nei sensi.

Ennio Morricone era il genio silenzioso che ha riempito di musica i ricordi di tanti; che ha indissolubilmente legato il suo nome ad intramontabili capolavori del cinema; che ha segnato l’era degli spaghetti western insieme all’amico di sempre Sergio Leone, consacrando la memoria (e il vero nome di entrambi, in luogo degli pseudonimi utilizzati fino ad allora) con “C’era una volta il West”; che ci ha commosso con Mission e Nuovo Cinema Paradiso; che ha trapassato con le sue note anche il cuore dei più giovani, come quello di Jacopo, il diciannovenne che in un muto e desolato mattino di quarantena, le ha sparse sui tetti di Roma come un seme di speranza.

Ha vissuto la sua gloria con profonda umiltà, Ennio, schermendosi dalle luci della ribalta anche quando arrivò su quella degli Oscar: il primo, alla carriera, nel 2007, che volle dedicare “a tutti quelli che lo hanno meritato e non lo hanno mai avuto”; ed il secondo, nel 2016, per la miglior colonna sonora originale (per “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino), che volle invece dedicare a sua moglie Maria, l’amore della sua vita, con poche, essenziali parole, nella sua lingua, perché lui con le parole ci sapeva fare poco e con l’inglese ancor meno.

Sapeva commuoversi, il maestro (qualità fondamentale per chi, a sua volta, sa far commuovere), dimostrando così che essere grandi uomini, miti, stelle non ostacola la purezza e la bellezza delle emozioni. Si commosse allora, alla cerimonia degli Oscar, come si commosse lo scorso gennaio, quando in Senato, gli venne consegnato il premio alla carriera: “Non è previsto che io parli”, disse allora al Presidente Elisabetta Casellati, aggiungendo, con la voce che si spezzava: “Sa perché? Perché sono molto emozionato”.

Nella notte del 6 luglio, all’età di 91 anni, il maestro se n’è andato, silenzioso come aveva sempre vissuto, oltre le note potenti della sua musica. Se n’è andato con semplicità, in quella maniera pretestuosa e banale con cui spesso se ne vanno coloro che hanno vissuto a lungo con serenità e appagamento e a cui probabilmente non dispiacerebbe di restare ancora: una caduta, un femore rotto, un viaggio senza ritorno.

Chissà se mentre scorrevano i titoli di coda della sua vita avrà scelto, tra le tante composte, la sua colonna sonora…

Nemmeno stavolta era previsto che parlassi, maestro.

Ma la tua musica continuerà a farlo per te. Sempre.

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