16 maggio 2020

Musica e libertà

Autore: Ester Annetta
Non è stato necessario il contagio del virus; la morte del corpo è sopraggiunta naturalmente, come conseguenza logica – forse ancor prima che fisiologica - di quella che s’era già portata via lo spirito, avvizzito dalla solitudine e dal silenzio.

Ezio Bosso se n’è andato così, vittima della pandemia, che nel suo caso non è servito che si accanisse su un fisico già debilitato. È bastata la distanza che ha imposto a rivelarsi fatale.

Da tempo soffriva di una di quelle malattie, misteriose e infide, che imprigionano l’anima, rinchiudendola in un corpo che diventa sempre più rigido, che non consente più di controllare i movimenti, mentre lascia integra la mente, quasi a dispetto, condannandola ad assistere all’impietoso disfacimento delle membra e delle articolazioni, anche le più piccole.

A lui, in fondo, sarebbero bastate solo le dita per continuare a regalare al mondo la bellezza e l’armonia; sarebbe bastata la forza necessaria a schiacciare i tasti del pianoforte per ricreare quella regia suprema capace di insegnare la lezione più importante di tutte: ascoltare ed ascoltarci, come lui stesso diceva.

E tuttavia, a modo suo, lui la malattia era riuscito a vincerla per ben due volte: la prima, quando a seguito di un intervento al cervello, si era risvegliato dimentico di tutto, del linguaggio e della musica, che ricordava ma non capiva più. Allora aveva dovuto ricominciare a reimpararla, a rimettere insieme note, tempi ed armonia per riconquistarne il senso e la forza. Di quella riscoperta forza si era poi avvalso nella sua seconda battaglia, quando aveva compreso che, se dalle sue dita non sarebbero più scaturite melodie, ciò non gli avrebbe impedito di dirigere quelle degli altri, per regalare ancora emozioni.

«Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare» aveva detto in quell’occasione, «ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza». Aveva perciò continuato a dirigere l’orchestra, rivelando quanto altrettanto potente potesse essere la magia della sua bacchetta: «La bacchetta è il mio potere forte. La maschera che nasconde il dolore. Quando la poggio, tutto mi piace un po’ meno».

La musica era la sua vita, la forza che riusciva a sublimare la sua sofferenza, le ali della libertà con cui si librava la sua anima sfuggendo alla prigione del suo corpo.

Ezio non si è mai arreso alla malattia, non le ha mai consentito di vincerlo: ha sempre provato ad aggirarne le insidie, trovando ogni volta una nuova misura per vivere, tenendo da conto ciò che aveva appreso, stipandolo, di passaggio in passaggio, in ciascuna di quelle “dodici stanze” di cui sosteneva si compone la vita, per ricordarlo una volta giunto all’ultima.

Non si poteva dubitarne: bastava vedere come tutto il suo essere si trasfigurasse ogni volta che sedeva al pianoforte o si lasciasse issare in piedi davanti alla sua orchestra: su quel tappeto magico di note Ezio volava, diventava leggero, tornavano armoniosi e fluidi i suoi gesti, sorrideva il suo viso consumato illuminandosi di una gioia attinta nel profondo dell’anima.

Ancora una volta ha cercato di reagire quando la pandemia ha imposto quel distanziamento sociale che lui stesso – nell’ultima intervista rilasciata due giorni prima di morire - si è subito affrettato a correggere in distanziamento di sicurezza, perché fosse chiaro che solo di distanza fisica dovesse trattarsi e non di distanza umana.

Ha cercato altri modi per alimentare il suo spirito ed i suoi interessi, studiando, leggendo. Ma non è bastato: la vita poteva scorrere in lui solo attraverso la musica, attraverso la vicinanza ai suoi orchestrali, fratelli di magia e di poesia. Lo aveva detto lui stesso al termine di quella esibizione a Sanremo del 2016 che aveva lasciato incantata l’Italia intera: «La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme».

E a quel nemico scaltro che, pur senza colpirlo, lo aveva costretto alle sue regole Ezio si è dunque arreso, incapace di resistere al silenzio, al digiuno d’emozioni, all’assenza.

È giunto così alla sua dodicesima stanza, quella dei ricordi di tutta la vita, che segna, sì, la fine ma anche una nuova partenza: quella verso l’assoluta libertà.

Ciao Ezio, ora davvero sei libero di volare.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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