24 settembre 2022

Responsabilità civile dei magistrati: la svolta della piena risarcibilità

Autore: Ester Annetta
Proprio nel momento in cui avviene il passaggio del testimone alla guida della Consulta, consegnata alla neoeletta Silvana Sciarra, viene pubblicata un’importanze pronuncia che ha quasi il gusto di una consegna da parte del suo predecessore Giuliano Amato, che vi compare ancora come Presidente.

Risale allo scorso 6 luglio, ma solo il 15 settembre è stata depositata in cancelleria e dunque resa pubblica.

Si occupa di un tema che rimane di grande attualità, nonostante la specifica normativa già intervenuta a disciplinarla. Tratta infatti della responsabilità civile dei magistrati, regolata dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18 che ha in parte riformato la precedente legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati).

La sentenza in parola – la n. 205/Anno 2022 – è scaturita dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione - quale giudice a quo – nel corso di un giudizio sul ricorso proposto da un soggetto (che nello specifico è a sua volta un magistrato) che, sia in primo che in secondo grado, si era visto negare il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti al suo erroneo coinvolgimento in un procedimento penale in cui si ipotizzava un suo concorso esterno nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Il ricorrente era stato sottoposto a una perquisizione personale e domiciliare e questa notizia aveva avuto una vasta eco giornalistica. Due anni dopo la sua posizione era stata stralciata e rimessa alla Procura competente che, effettuato l’interrogatorio, aveva richiesto l’archiviazione.

Il mancato accoglimento della richiesta risarcitoria da parte dei giudici di merito era stato motivato sostanzialmente dall’applicazione al caso di specie della disciplina contenuta nella precedente L.117/88 che ammetteva il risarcimento del danno non patrimoniale unicamente nel caso in cui esso fosse derivato da privazione della libertà personale (che il ricorrente non aveva invece subito).

Pur avendo la successiva L. 18/2015 abrogato quest’ultima condizione, i giudici di merito non l’avevano ritenuta applicabile al caso di specie in quanto il procedimento era già in essere e, dunque, doveva proseguire secondo le previsioni della precedente normativa, stante la mancata espressa indicazione della retroattività della nuova.

La Cassazione ha dunque sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della L. n. 117/88, nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 2, comma 1, lettera a), della L. n. 18/2015 nella parte in cui limita la risarcibilità dei danni non patrimoniali a quelli derivanti da privazione della libertà personale; nonché dell’art. 2, comma 1, lettera a), della stessa L. n.18/2015, nella parte in cui non dispone l’applicazione della suddetta modifica ai giudizi ancora in corso e per fatti antecedenti alla sua entrata in vigore.

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione, sulla base anche dell’evoluzione interpretativa giurisprudenziale intervenuta circa l’art. 2059 C.C. secondo cui il danno non patrimoniale ivi contemplato deve essere letto estensivamente, alla luce dell’art. 2 della Costituzione, e, dunque, considerato risarcibile ogni qualvolta che leda un qualunque diritto inviolabile dell’uomo, non solo la libertà personale.

Per la Corte, la limitazione prevista dalla norma censurata è irragionevole, in quanto non giustificata dall’esigenza di preservare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, che sono comunque salvaguardate dalla definizione del confine fra lecito e illecito nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, così come dalla previsione secondo cui l’azione risarcitoria va diretta verso lo Stato e la rivalsa nei confronti del magistrato soggiace a ben precisi limiti quantitativi. Una volta rispettate queste condizioni e definito il perimetro di ciò che è illecito, non vi sono perciò ragioni che possano legittimare una compressione della tutela civile del danneggiato - leso nei suoi diritti inviolabili – che dunque non può essere privato di una protezione basilare ed essenziale qual è il risarcimento dei danni non patrimoniali.

Limitare la tutela al solo caso della privazione della libertà personale si traduce in una irragionevole differenziazione nella difesa civile dei diritti inviolabili della persona, “evocatrice, in tale ambito, di una insostenibile gerarchia interna a tale categoria di diritti”.

Pertanto, “affermare la possibile liquidazione dei danni non patrimoniali da lesione dei diritti inviolabili della persona non equivale a un ampliamento del raggio dell’illecito, ma implica soltanto un’estensione dei danni risarcibili. Ed è noto che, nell’illecito aquiliano, i danni risarcibili sono sottratti alla sfera di controllo del danneggiante e sono unicamente circoscritti dall’elemento oggettivo costituito dal nesso di causalità giuridica”.

Riconosciuta, dunque, la parziale illegittimità costituzionale della prima norma censurata, la Corte Costituzionale ha ritenuto conseguentemente venire meno anche la questione circa la mancata applicazione retroattiva - ai processi in corso per fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 18 del 2015 - della modifica apportata dalla medesima legge all’art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988. Difatti la norma successiva (L.18), alla luce della riconosciuta illegittimità costituzionale della precedente (L.117) come sopra illustrata, finisce per combaciare con essa e, dunque, implicitamente diviene applicabile ai fatti antecedenti al 2015.
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