18 luglio 2020

Santa Sofia, la storia infinita di un simbolo

Autore: Ester Annetta
Era il 532 d.C. quando l’imperatore bizantino Giustiniano I il Grande, il protagonista del periodo d'oro dell'Impero romano d'Oriente, destinato a passare alla storia soprattutto per l’immensa eredità lasciataci con il suo Corpus iuris civilis (la prima raccolta omogenea della legge romana, tutt'oggi alla base del diritto civile), decise di edificare la chiesa di Santa Sophia, a Costantinopoli (l’odierna Istanbul), sulle ceneri della preesistente basilica costruita dal suo predecessore, Teodosio II, distrutta da un incendio durante la rivolta di Nika dello stesso anno.

Doveva essere una basilica diversa, più grande e più maestosa della precedente, e assurgere a simbolo della cristianità in Oriente, un abbraccio che avrebbe unito l’Oriente all’Occidente, divenendo fulcro religioso e anche politico dell’impero.

Scelse perciò i migliori architetti del tempo: Isidoro di Mileto e il fisico e matematico Antemio di Tralle e ordinò che il materiale da impiegare fosse attinto da tutto l'impero: le colonne ellenistiche dal tempio di Artemide di Efeso; le grandi pietre dalle cave di porfido egiziane; il marmo verde dalla Tessaglia; la pietra nera dalla regione del Bosforo e la pietra gialla dalla Siria.

Più di diecimila furono le persone impiegate nel cantiere, ed in soli cinque anni la basilica vide la luce in tutta la sua magnificenza, divenendo la sede del patriarca di Costantinopoli e il luogo principale per le cerimonie imperiali dei reali bizantini.

Voglio una chiesa come mai dai tempi di Adamo ce ne fu una così, e mai più ce ne possa essere una simile”: così pare avesse ordinato Giustiniano, che dovette essere così fiero del risultato da aver esclamato - durante la cerimonia di consacrazione, il 27 dicembre del 537- : “Oh Salomone, ti ho superato!”.

La basilica non venne dedicata ad una particolare figura di Santo o Santa, ma ad un concetto astratto: la Divina Sapienza (in latino: Sancta Sophia o Sancta Sapientia; in greco antico: Αγία Σοφία, Aghía Sofía), la sapienza di Dio, il principio ispiratore d’ogni azione improntata a verità e giustizia. E tale fu per secoli, nonostante le alterne vicende che la interessarono: dall’iconoclastia bizantina inaugurata dall’imperatore Leone III Isaurico, che emise una serie di editti contro la venerazione delle immagini, ordinando all'esercito di distruggere tutte le icone; al saccheggio dei cristiani latini subito con la presa di Costantinopoli durante la Quarta Crociata, a seguito della quale divenne cattedrale cattolica romana.

Ma fu nel 1453 che le sue sorti cambiarono: i turchi ottomani, guidati dal sultano Maometto II, conquistarono Costantinopoli, ponendo fine a quello che restava dell’antico Impero Romano d’Oriente; la basilica di Santa Sophia fu scelta per ribadire la consegna della città al mondo orientale e perciò venne trasformata in moschea: i mosaici interni furono coperti con uno strato di intonaco, ai quattro angoli della costruzione vennero eretti altrettanti minareti e una enorme mezzaluna di bronzo dorato fu collocata sul vertice della cupola.

Così rimase fino al 1935 quando il primo presidente turco e fondatore della Repubblica di Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, trasformò l'edificio in un museo: i tappeti vennero tolti, riportando alla luce, dopo secoli, le decorazioni del pavimento di marmo; lo stesso fu per i mosaici che, rimosso l'intonaco bianco che li copriva, riapparvero in tutta la loro bellezza.
Nell’intento di riformare il paese in senso laico dopo la fine dell’impero ottomano e di sganciare la religione dallo spazio pubblico, Atatürk aveva fatto ricorso ancora una volta a quel simbolo, snaturandolo però della sua identità religiosa per trasformarlo in un nuovo strumento di dialogo tra culture e religioni diverse. E ad arricchirne il valore culturale aveva contribuito anche la successiva decisione dell’Unesco di iscrivere Santa Sophia nella lista del patrimonio universale.

Giungiamo però ai giorni nostri.
C’è un presidente, Erdogan, – che a detta di tanti assomiglia forse più a un dittatore – che ha deciso di riappropriarsi di quel simbolo, avvalendosene come strumento per catturare quei consensi che evidentemente stenta a mantenere, visti gli ultimi insuccessi elettorali del suo partito (che mai più di adesso pare recare nel suo nome – “Partito della Giustizia e dello Sviluppo” - un paradosso).
Un provocatore, l’hanno pure definito, che, come un novello Maometto II vuole ostentare l’importanza del suo stato, restaurare l’”ottomanismo”, recuperando la tradizione e la cultura dell’Impero turco, utilizzando una strategia di natura nettamente religiosa (quella che evidentemente fa più presa di questi tempi ed in quei luoghi), in aperta opposizione ai canoni del mondo civilizzato. E così cavalca la decisione del Consiglio di Stato - che, accogliendo la richiesta di un piccolo gruppo islamista locale, ha annullato la scelta di Ataturk di trasformare Santa Sophia in un museo - per stabilirne il trasferimento della gestione dal Ministero della Cultura alla Presidenza degli Affari Religiosi, convertendola di fatto in moschea e annunciando che il prossimo 24 luglio vi si pregherà per la prima volta.

Dall’Unesco al papa, dal Patriarca di Costantinopoli ai vari governi europei, dai leader di partito ai comuni cittadini tutti ci sentiamo in qualche modo minacciati da quella che sembra essere una vera e propria sfida, un guanto indipendentista lanciato su secoli di dialogo interculturale ed interreligioso, un pericoloso incoraggiamento del fanatismo e del fondamentalismo. E, di fronte all’affermazione di Erdogan di aver agito in nome della "sovranità nazionale", non suona affatto rassicurante la sua “promessa” che le porte di Santa Sophia continueranno a essere aperte a tutti, musulmani e non musulmani.

Ma quella famosa chiesa, alla quale giustamente diedero il nome della Sapienza di Dio – e davvero non è opera della sapienza umana – a chi, quando l’abbia vista, consentirà per il futuro di menzionare o ammirare altre opere, o anche solo di serbarne il ricordo? Credo infatti che non sia mai esistito e non esisterà mai nulla di simile al mondo.”. Così si esprimeva nel 1411 l’umanista bizantino Manuele Crisolora nel descrivere la bellezza di Santa Sophia. Ed è questo che forse necessiterebbe che restasse: una straordinaria opera d’arte, un’espressione di grazia e bellezza ed un simbolo neutrale di quella sapienza che non serve sia divina per guidare condotte improntate al rispetto reciproco, alla tolleranza e al dialogo e non, al contrario, tese alla strumentalizzazione ed al sostegno di un integralismo travestito da nazionalismo.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy