Rimane ancora incerto il confine tra l’elusione e l’evasione fiscale; anche se il legislatore ha introdotto l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, di cui alla legge 212/2000, vi sono tra gli operatori del settore ancora molte perplessità in relazione al distinzione tra evasione ed elusione, considerando che tale differenziazione comporta delle rilevanti divergenze sul piano delle conseguenze procedimentali nonché su quelle sanzionatorie.
L’evasione fiscale - L’evasione si verifica, come affermato da autorevole dottrina,
“in tutte quelle situazioni che conducono alla rappresentazione di risultati diversi da quelli stabiliti dalla legge. In questo modo si può agevolmente comprendere che l’evasione si realizza anche attraverso vicende di alterazione dei fatti economici, come, ad esempio, l’interposizione fittizia, la dissimulazione, la simulazione vera e propria. Infatti, una volta che l’ufficio dell’amministrazione ha verificato un assetto negoziale apparente, deve accertare quello effettivo, che è l’unico rilevante ai fini dell’applicazione dei tributi”.
Il concetto di elusione fiscale - L'elusione fiscale è il comportamento messo in pratica dal contribuente che pone in essere un negozio giuridico o una concatenazione di atti giuridici di per sé leciti, al solo scopo di ridurre l'obbligazione tributaria.
L’articolo 1, del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, recante
“Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente”, detta la nuova disciplina dell’abuso del diritto, nell’ambito dell’attuazione della delega fiscale, di cui alla legge 23/2014 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita).
In particolare, l’articolo 5 della legge delega attribuisce al governo il compito di procedere alla revisione delle vigenti disposizioni antielusive
“al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto”, in aderenza ai principi e ai criteri direttivi contenuti nella raccomandazione della Commissione europea.
Il comma 1, dell’articolo 1, del D.Lgs. n. 128/2015, inserisce nello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000), il nuovo articolo 10-bis, rubricato “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”; tale norma prevede che configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.
Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
Si considerano tali le seguenti operazioni:
- a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;
- b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.
Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente.
Il contribuente può proporre interpello ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera c), dello Statuto del Contribuente, per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto.
Recenti orientamento delle Entrate - L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 97/E, del 25 luglio 2017, rispondendo a un’istanza di interpello, ha fornito un importante chiarimento interpretativo in materia di scissione parziale proporzionale seguita dalla cessione delle partecipazioni nella società scissa, in rapporto alla nuova disciplina dell’abuso del diritto.
Nel fornire la propria risposta, l’amministrazione ricorda quali sono i presupposti in presenza dei quali un’operazione può essere considerata abusiva, secondo la disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale contenuta nell’articolo 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000).
A tal proposito, la risoluzione ribadisce che per ritenere abusiva una determinata operazione, l’amministrazione deve identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti:
- la realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”;
- l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione;
- l’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”.
Tuttavia,
“non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente” (articolo 10-bis, comma 3).
Nel caso in esame la scissione parziale proporzionale e il successivo trasferimento (previo affrancamento) delle azioni della società scissa sono stati ammessi per legittimo risparmio di imposta.
Con la successiva risoluzione n.99/E, del 27 luglio 2017, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che nell’ambito dell’assegnazione agevolata ai soci, risulta abusiva una complessa operazione in cui la società:
- a) conferisce l’azienda in una nuova società composta dai medesimi soci;
- b) concede in locazione il bene immobile alla nuova società;
- c) provvede ad assegnare il bene ai soci e a sciogliersi.