7 marzo 2022

CNDCEC: qualifica di IAP incompatibile con l’esercizio della professione

Rilevante la prevalenza della provenienza del reddito dall’attività d’impresa agricola

Autore: Pietro Mosella
Laddove un iscritto all’Ordine rivesta la qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP), la relativa attività d’impresa agricola risulterà sempre incompatibile con l’esercizio della professione, anche qualora sia esercitata in alcune zone cosiddette “svantaggiate”, per le quali il requisito del tempo dedicato all’attività agricola è del 25 per cento, anziché del 50 per cento.

È quanto sancito nel Pronto Ordini n. 37 del 18 febbraio 2022, con il quale il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) è intervenuto per fornire chiarimenti a seguito di un quesito posto da un Ordine territoriale.

Quest’ultimo, infatti, ha chiesto di sapere se un’iscritta che sia titolare d’impresa agricola per proprio conto e abbia assunto la qualifica di IAP, versi in una situazione d’incompatibilità considerato che le disposizioni di riferimento prevedono che, per le zone “svantaggiate”, il requisito relativo alla percentuale del tempo dedicato all’attività agricola (che rappresenta uno dei requisiti per acquisire la qualifica di IAP) sia il 25 per cento e non il 50 per cento.

Il Consiglio Nazionale richiama dapprima quanto stabilito nel D. Lgs. n. 139/2005 (Costituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili) il quale, relativamente all’incompatibilità, dispone all’articolo 4, comma 1, lett. c), che «l'esercizio della professione di dottore commercialista ed esperto contabile è incompatibile con l'esercizio, anche non prevalente, né abituale, dell'attività d’impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto, di produzione di beni o servizi, intermediaria nella circolazione di beni o servizi, tra cui ogni tipologia di mediatore, di trasporto o spedizione, bancarie, assicurative o agricole, ovvero ausiliarie delle precedenti».

Come evidenzia il CNDCEC, tale norma stabilisce una specifica ipotesi d’incompatibilità tra l’esercizio della professione e lo svolgimento di attività d’impresa agricola qualora questa sia esercitata dall’iscritto per conto proprio.

Lo stesso Consiglio Nazionale, inoltre, richiama anche quanto stabilito dal medesimo articolo 4, al comma 2, ovvero che «l'incompatibilità è esclusa qualora l'attività, svolta per conto proprio, è diretta alla gestione patrimoniale, ad attività di mero godimento o conservative, nonché in presenza di società di servizi strumentali o ausiliari all'esercizio della professione, ovvero qualora il professionista riveste la carica di amministratore sulla base di uno specifico incarico professionale e per il perseguimento dell'interesse di colui che conferisce l'incarico».

Detta disposizione - come osserva il CNDCEC - delinea i limiti entro i quali ricorre l’ipotesi d’incompatibilità tra l’esercizio della professione e quello dell’attività d’impresa.

Occorre precisare che, nel caso di attività d’impresa svolta dall’iscritto per proprio conto (in nome proprio o altrui), infatti, l’incompatibilità viene meno qualora tale attività sia diretta:
  • alla gestione patrimoniale;
  • allo svolgimento di attività di mero godimento o conservative;
  • allo svolgimento di attività strumentali o ausiliari all’esercizio della professione (società c.d. di servizi), ovvero qualora l’iscritto svolga l’incarico di amministratore in base a specifico mandato professionale.
In virtù di quanto stabilito dalle disposizioni summenzionate, si richiamano anche le Note interpretative della disciplina delle incompatibilità di cui all'articolo 4 del D. Lgs. n. 139/2005 del CNDCEC, così come aggiornate nel 2012. Dette Note, infatti, hanno chiarito che l’esercizio di attività d’impresa agricola, in linea di principio precluso all’iscritto, è consentito laddove tale attività si configuri come di mero godimento, ovvero meramente conservativa del fondo agricolo (ad esempio, ci si può riferire all’ipotesi in cui i prodotti agricoli siano rivenduti esclusivamente per rientrare delle spese di manutenzione e conservazione del fondo agricolo).

Come fa notare lo stesso Consiglio Nazionale, considerando l’oggettiva difficoltà ad individuare concretamente le ipotesi in cui tale attività possa configurarsi di mero godimento o meramente conservativa, le sopra citate Note interpretative hanno fatto riferimento alla qualifica di IAP, la quale è stata introdotta dall’articolo 1 del D. Lgs. n. 99/2004.

Detta disposizione individua come tale il soggetto che, in possesso di conoscenze e competenze professionali adeguate, dedica alle attività agricole (direttamente o in qualità di socio di società) almeno il 50 per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricava da tale attività almeno il 50 per cento del proprio reddito globale da lavoro.

Le menzionate Note, infatti, hanno evidenziato che, laddove l’imprenditore agricolo abbia assunto la qualifica di IAP, l’esercizio dell’attività non potrà in nessun caso considerarsi di mero godimento o meramente conservativa del fondo agricolo.

A tal proposito il Consiglio Nazionale effettua un’importante precisazione, in quanto ai fini dell’esclusione dell’incompatibilità non rileva in nessun modo la circostanza che, in alcune zone geografiche definite dalla legge come “svantaggiate”, ai fini dell’assunzione della qualifica di IAP, il requisito del tempo dedicato all’attività agricola sia del 25 per cento anziché del 50 per cento, poiché anche in tali casi si tratta di soggetti imprenditoriali che svolgono attività agricola dalla quale percepiscono la maggior parte del proprio reddito.

Secondo il CNDCEC, infatti, la prevalenza della provenienza del reddito dallo svolgimento dell’attività d’impresa agricola, induce ad escludere che essa venga svolta ai soli fini conservativi o di mero godimento. Concludendo, quindi, per il Consiglio Nazionale, laddove un iscritto rivesta la qualifica di IAP, la relativa attività d’impresa agricola risulterà sempre incompatibile con l’esercizio della professione.
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