Un'interessante novità sull'annosa vicenda della limitazione della responsabilità patrimoniale di sindaci e revisori proviene da un autorevole autore di livello internazionale, Anthony Hodgkinson, della Protiviti Forensic.
Da un importante lavoro dell'Association of Certified Fraud Examiners (“ACFE”) emergono dati di notevole rilevanza riguardo all'azione professionale svolta dagli organi di controllo, in particolar modo valutando statisticamente la percentuale di rilevazione di frodi contabili.
È illuminante apprendere dal rapporto ACFE alle Nazioni che i revisori (si utilizza il termine anglosassone "auditor") non sempre rilevano frodi durante il proprio mandato professionale: "l'audit interno rileva le frodi il 15% delle volte, mentre l'audit esterno (revisore/organo di controllo, ndr) solo il 4%."
In genere - riferisce Hodgkinson - la grande maggioranza delle organizzazioni di medie e grandi dimensioni considera i propri revisori interni ed esterni come lo strumento fondamentale per scoprire le frodi e adottare misure preventive per ridurre al minimo il rischio di perdite subite a causa di una frode. Tuttavia, ciò non implica che i revisori indipendenti spesso individuino le frodi, anzi, in molti casi è vero il contrario. Il Rapporto ACFE alle Nazioni sottolinea il fatto che i revisori contabili raramente riscontrano frodi.
Dati che fanno pensare.
È certamente vero che i motivi di tale inconfutabile elemento statistico possono essere innumerevoli: principalmente la natura stessa della revisione contabile, il campionamento che, in quanto tale, ha limiti intrinseci anche se svolto con elevata diligenza, la raffinatezza nel mascherare operazioni di frode (falsificazioni di documenti e di scritture contabili, ecc.), il tempo ed il compenso del revisore (in Italia indiscutibilmente inadeguato), la forte dipendenza dai controlli interni.
La revisione dunque serve? Certamente! Collegio sindacale e revisore sono elementi imprescindibili, veri e propri presidi di legalità: dove essi sono presenti il tasso di fallimenti è, dati alla mano, più basso, l’andamento dell’economia più regolato e solido, senza necessariamente attribuire all’organo di controllo doti taumaturgiche che, neppure in ambito medico, avrebbe il più brillante degli ordinari in materie sanitarie.
La revisione serve, anzi è indispensabile, il collegio sindacale pure, vero e proprio unicum italiano (uno dei vanti del nostro diritto).
Economie maggiormente deregolate e senza organi di controllo societari soffrono di spiccati tassi di default delle imprese, ben più elevati di quelli italiani, e di conseguenza di incertezze maggiori per tutti i portatori di interessi.
Qui però parliamo di altro: questo rapporto internazionale sull'efficacia nelle rilevazioni di frodi contabili che utilità potrebbe rivestire già da ora? Certamente una qual certa importanza per comprendere e delimitare concettualmente la responsabilità patrimoniale (ma anche eventualmente penale) degli organi di controllo.
Infatti, l'elemento cardine di contestazione sul lavoro svolto dal revisore/sindaco è il non aver scoperto le irregolarità della società vigilata, magari nel frattempo fallita.
Ecco quindi che il contributo, spesso asseritamente omissivo, al danno cagionato agli stakeholder genera in capo ai controllori responsabilità eccessivamente gravose e, aggiungerei, decisamente irragionevoli e sproporzionate.
Ecco che dovrebbe dunque intervenire una rigida applicazione del nesso di causalità che si manifesti nella catena logica "omissione - danno - quantificazione" di quest'ultimo.
Se il revisore ha, oggettivamente, il 4% di probabilità di rilevare una frode, può essere concettualmente chiamato a rispondere dell'intero danno?
Non si potrebbe già da ora procedere (naturalmente solo se - e dopo - l'intervento, a monte, di un solido nesso causale, senza il quale ogni responsabilità patrimoniale verrebbe comunque a decadere in toto) a quantificare il contributo del sindaco/revisore al danno, proporzionandolo alla mera realtà numerica dei fatti, come espressa dall'autorevole documento citato in premessa?
Si tratta, in conclusione, soltanto di riflessioni basate su osservazioni oggettive e statisticamente rilevabili, non certamente su punti di vista soggettivi.
Ecco perché ritengo che occorra lanciare un serio spunto giuridico, dottrinale e possibilmente giurisprudenziale, sulla corretta applicazione del nesso di causalità e sulla quantificazione del danno; i tempi paiono maturi per ragionare con lucidità ed onestà intellettuale sulla delimitazione delle responsabilità giuridiche (che sia, perché no, anche estensibile ad altri aspetti della professione di commercialista, e non solo), in attesa che il legislatore limiti a livello normativo la responsabilità degli organi di controllo, come già accade nella stragrande maggioranza dei Paesi europei e non solo.