4 aprile 2019

Le attività inquadrabili in una “innovazione di processo” non rientrano nel bonus R&S

Autore: Pietro Mosella
Le attività intraprese dalla società che si sostanziano nell'applicazione di moderne tecnologie già note e già introdotte anche nel settore di appartenenza e si ricollegano, in senso ampio, alla “digitalizzazione” dei processi di produzione, rappresentano una “innovazione di processo” e, come tali, non sono ammissibili al credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo.
È quanto emerge dalla Risoluzione n. 40 dell’Agenzia delle Entrate, pubblicata il 2 aprile 2019, con la quale sono stati forniti nuovamente chiarimenti in merito al credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo (di cui all’articolo 3 del D.L. n. 145/2013) e, in particolare, sull’aspetto riguardante la corretta individuazione dell’ambito oggettivo di applicazione dell’agevolazione.

Il quesito
La società Alfa ha chiesto all’Agenzia delle Entrate un parere in merito alla possibilità di usufruire del credito d'imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo, di cui all'articolo 3 del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 9/2014, e successive modifiche e integrazioni (da ultimo dall'articolo 1, commi 70-72, della Legge n. 145/2018).
La società istante ha presentato un allegato tecnico illustrativo del progetto posto in essere, volto alla gestione delle informazioni, dei documenti e delle fasi di controllo che abiliti l'adozione di modelli operativi innovativi e, di conseguenza, l'erogazione di nuovi e migliori servizi ai clienti, basato su un sistema informatico condiviso (c.d. "cross-department"), in grado di offrire in tempo reale informazioni di natura tecnica in sede di sopralluogo/installazione/manutenzione/guasto.
Le attività descritte connesse a tale progetto, secondo l'istante, rientrano nelle disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4, lettere c) e d), ossia il c.d. "sviluppo sperimentale".

Il parere dell’Agenzia delle Entrate
Il Fisco, trattandosi di delimitare l'ambito oggettivo di applicazione del credito, aveva chiesto al competente Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) un parere sulla questione prospettata. Dal suddetto parere, emerge che, sulla base dell'esame della documentazione allegata alla richiesta di parere tecnico, gli investimenti effettuati dalla società istante in attuazione del citato progetto, non possano, nel loro complesso, qualificarsi come investimenti in attività di ricerca e sviluppo, nell'accezione rilevante ai fini del credito d'imposta. Essi rappresentano, più propriamente, investimenti in capitale fisso (immobilizzazioni immateriali), finalizzati ad incrementare la funzionalità e le prestazioni dei supporti informatici a disposizione dell'azienda, attraverso lo sviluppo di applicazioni che, pur potendo presentare varianti rispetto alle alternative già esistenti sul mercato, si basano, comunque, sull'utilizzo di strumenti e tecnologie già ampiamente diffuse anche nello stesso settore in cui opera l'impresa.

Ciò, in quanto, come si legge nel parere, «le attività intraprese dalla società, pur rappresentando investimenti innovativi, funzionali, se non necessari, per l'efficientamento dei processi di produzione dei servizi dalla stessa realizzati, si sostanziano nell'applicazione di moderne tecnologie già note e già introdotte anche nel settore di appartenenza e si ricollegano, in senso ampio, alla “digitalizzazione” dei processi di produzione».

Sul punto, è specificato che, tali devono considerarsi, in particolare, gli investimenti effettuati dalla società per la realizzazione di "...un sistema informatico condiviso cross-department per la gestione e l'allineamento delle informazioni e dei documenti in tempo reale in un contesto caratterizzato dalla generazione continua di informazioni necessarie allo svolgimento delle attività core, anche da parte di diversi reparti aziendali...". In sostanza, coerentemente con la prassi adottata, si ritiene che gli investimenti realizzati dall'impresa, devono più correttamente essere inquadrati nella categoria "innovazione di processo" e, quindi, non sono agevolabili agli effetti della disciplina del credito d’imposta.

A tal proposito, è opportuno ricordare che, l'esclusione delle "innovazioni di processo" dall'ambito di applicazione di detto credito d'imposta, è stata ribadita recentemente dall'Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 46/E del 22 giugno 2018, in riferimento ad una fattispecie caratterizzata per il fatto che, le attività e le spese per le quali veniva richiesta l'ammissione al beneficio, consistevano essenzialmente nell'introduzione e nell'applicazione da parte dell'impresa istante, di numerose tecnologie e immobilizzazioni tecniche d'avanguardia, ma già ampiamente diffuse e disponibili anche nel settore di riferimento.

Il MISE, infatti, richiamando anche la citata risoluzione, ritiene che, le attività oggetto d’interpello, non siano riconducibili alle attività di “ricerca fondamentale”, “ricerca industriale” e “sviluppo sperimentale” tradizionalmente ammissibili al credito d’imposta in argomento.
La sopra citata Risoluzione n. 46/E, riconduceva le stesse attività, anche per quel che riguardava la parte software, tra quelle direttamente realizzative di un programma di investimenti in beni strumentali materiali e immateriali direttamente impiegati nel processo produttivo dell'impresa, ancorché costituenti investimenti innovativi per l'impresa stessa.

Il parere del Mise si conclude ritenendo che “la regola interpretativa affermata nella citata risoluzione, assuma valenza di principio generale e, dunque, pur nella considerazione della diversità degli elementi di fatto, applicabile - mutatis mutandis - anche nel caso qui in esame".
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