26 gennaio 2023

Compenso professionale. L’avviso di fattura fa scattare la mora

Cassazione civile, ordinanza depositata il 25 gennaio 2023

Autore: Paola Mauro
Il professionista che ha svolto attività di consulenza e assistenza alla società poi fallita ha diritto agli interessi moratori sul compenso, con decorrenza dalla nota “pro forma” inoltrata con PEC.

È quanto emerge dalla lettura della lettura dell’ordinanza n. 2337/2023 della Corte di cassazione (Sez. VI civ.), che accoglie il ricorso di un avvocato.

Il caso - Il legale in questione, che ha proposto opposizione allo stato passivo del fallimento di una società da lui assistita nell’ambito di giudizi disciplinari presso la F.I.G.C., ha denunciato, per quanto è qui d’interesse, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, 4 e 5 del D.lgs. n. 231 del 2002, in relazione all’art. 2233 cod. civ. e agli artt. 93, 94, 95, 96 e 97 L. fall., per avere il Tribunale di Bari:
  • negato gli interessi moratori sul credito professionale, da calcolarsi a partire dalla comunicazione della nota “pro forma” equivalente a un sollecito di pagamento.
Ebbene, la Suprema Corte ha condiviso il motivo d’impugnazione.

Ragioni del rinvio al Giudice di merito - Gli Ermellini hanno spiegato che, nel caso di richiesta avente a oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’articolo 1224 cod. civ. competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del Giudice, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal Giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore (v. Cass. n. 24973/2022 e n. 8611/2022).

Sempre la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, in tema di obbligazioni per prestazioni professionali, l'invio della parcella dal professionista al cliente non condiziona necessariamente l’esigibilità del credito, che può essere fatto valere anche col semplice invio di un estratto conto che valga come richiesta di pagamento e atto di costituzione in mora (v., tra le altre, Cass. n. 2561/2003).

Alla luce di questi principi, nel caso di specie, il Supremo Collegio ha quindi ritenuto errata la valutazione del Tribunale di Bari quanto alla richiesta degli interessi moratori.

I Massimi giudici hanno osservato che – si riporta testualmente -, «per un verso non si giustifica l’affermazione del tribunale secondo cui, in difetto di liquidazione giudiziale del compenso antecedente alla proposizione della domanda di ammissione al passivo, la società poi fallita non poteva ritenersi in mora […]. Per altro verso, ben avrebbe dovuto il Tribunale valutare la richiesta di interessi, alla stregua, ai fini della costituzione in mora, della nota pro forma – altrimenti avviso di fattura – inoltrata con pec alla debitrice il 13/09/2018 […]».

Ne è derivato l’annullamento del decreto impugnato, con rinvio della causa al Tribunale di Bari per la rinnovazione del giudizio limitatamente al motivo accolto.
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